La prima enciclica sociale di Benedetto XVI

Si chiama "Caritas in veritate" la prima enciclica sociale di papa Benedetto. E' stata pubblicata martedì 7 luglio, alla vigilia del G8, quasi ad incoraggiare i potenti della terra riuniti all'Aquila, affinchè si adoperino per ricercare il bene comune, da cui solo può scaturire un autentico sviluppo per i popoli.
L'enciclica è indirizzata non solo al mondo cattolico, ma anche a tutti gli uomini di buona volontà.
Cosa dice il papa in questa enciclica?
Innanzitutto il Pontefice ricorda che "la Carità nella verità, di cui Gesù s'è fatto testimone" è "la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera". Lo sviluppo è davvero "integrale" quando è "volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo". Le cause del sottosviluppo non sono solo di ordine materiale, ma sono conseguenza della mancanza di fraternità tra gli uomini e i popoli. "La società sempre più globalizzata - dice il Papa - ci rende vicini, ma non ci rende fratelli".
L'obiettivo del profitto "senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà". Per il Papa è necessaria una "riprogettazione globale dello sviluppo".
L'economia senza solidarietà non funziona; l'etica è necessaria per il suo corretto funzionamento. Non un'etica qualsiasi, però, ma un'etica amica della persona. La centralità della persona deve essere il principio guida negli interventi per lo sviluppo.
Per quanto riguarda l'ambiente, i credenti sanno che la natura è un dono di Dio da usare responsabilmente, mentre l'accaparramento delle risorse da parte di Stati e gruppi di potere è "un grave impedimento per lo sviluppo dei Paesi poveri".
Lo sviluppo dei popoli "dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia ".
Con la negazione "del diritto a professare pubblicamente la propria religione", la politica "assume un volto opprimente e aggressivo" e "nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo" tra la ragione e la fede.
Il Papa ci ricorda anche che ogni migrante "è una persona umana" che "possiede diritti che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione".
Per quanto riguarda lo sviluppo e la tecnica, nell'enciclica viene sottolineato il rischio di una tecnologia che pretenda di avere una libertà assoluta. Il Papa afferma che "la ragione senza la fede è destinata a perdersi nell'illusione della propria onnipotenza".
L'enciclica si conclude dicendo che lo sviluppo "ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera", di "amore e di perdono, di rinuncia a se stessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace".

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