Il digiuno

Da Avvenire del 31 marzo 2010, l'intervista ad un esperto di cibo e religioni.

« I nostri antenati? Digiunavano o si astenevano dalle carni fi­no a centocinquanta giorni al­l’anno: in Avvento e in Quaresima, pri­ma della Pentecoste e di ogni festa ma­riana. Oggi è persino raro trovare chi os­serva il digiuno almeno il Mercoledì del­le ceneri ed il Venerdì Santo». Scuote la testa Massimo Salani, 51 anni, sposato e padre di una figlia, mantovano di ori­gine e pisano di adozione, docente di patrologia e storia delle religioni all’I­stituto teologico interdiocesano Mon­signor Enrico Bartoletti a Camaiore e in­segnante di religione e vicepreside all’i­stituto alberghiero Matteotti a Pisa. Sa­lani ha studiato e scritto molto del rap­porto tra credenti e cibo. Portano la sua firma A tavola con le religioni (Edb), con il quale ha vinto il premio nazionale di storia e saggistica nel 2001 a Novara; Il maestro di tavola (sempre Edb), molto utilizzato in tutti gli istituti alberghieri e turistici d’Italia, e diverse altre pubbli­cazioni. E numerosi contributi ad altre pubblicazioni a tema: l’ultimo, Invitati al banchetto di Dio( Edizioni Plus), in u­scita nelle prossime settimane.
 Professor Salani, quale significato at­tribuiscono i cattolici al digiuno eccle­siastico?

 «Il digiuno prepara il nostro corpo al­l’incontro con il Signore. Chi ha inten­zione di ricevere l’Eucarestia è sempre tenuto a un digiuno da cibi e bevande per almeno un’ora».

 Il digiuno è una prassi consolidata an­che
in altre religioni...
 «I musulmani si astengono dal cibo e dalle bevande dal sole al tramonto nel mese lunare di Ramadan; molti indui­sti digiunano nei giorni di festa, al con­trario dei cristiani che santificano la do­menica anche a tavola: è stato lo stesso Gesù a ricordarci di non digiunare quan­do c’era lui (Mt 9,15). Gli ebrei digiuna­no per il giorno del Yom Kippur (è il no­no giorno del mese di Av), anche se quel­li ortodossi osservano il digiuno tutti i lu­nedì ed i giovedì. Tra i cristiani, i più at­tenti alla prassi del digiuno sono gli or­todossi. I cattolici hanno perso, nei se­coli, il senso del digiuno: nel Medioevo lo osservavano per prepararsi a tutte le maggiori festività, oggi faticano a ri­spettarlo
due gior­ni l’anno».
 Quale rapporto hanno i credenti con la carne?

 «Induisti e buddi­sti non mangiano nessun tipo di car­ne: a loro è impe­dito di uccidere o­gni essere 'sen­ziente'. Infatti so­no vegetariani. Ai cattolici è raccomandata l’astinenza dal­le carni tutti i venerdì dell’anno – ecce­zion fatta per quelli che coincidono con
una solennità».
 Da quali carni astenersi?

 «Le carni degli animali terrestri. È inve­ce possibile consumare del pesce, pur­ché non sia grasso, come nel caso del­l’anguilla o della capitona. Bene invece il pesce azzurro, molto conosciuto in Toscana: come ha 'certificato' il pa­leontologo pisano Francesco Mallegni, anche Santa Bona ne faceva uso».

La scelta si fa difficile. C’è un criterio semplice semplice per capire quali so-

 no i cibi che possono essere consuma­ti
e quali, invece, no?
 «I cuochi, per mettersi d’accordo su quali sono i cibi sì nei giorni in cui è pre­scritta l’astinenza, usano un termine tecnico: 'bianco mangiare'. Che è cosa ben diversa da 'mangiare in bianco'; e ci dice che a tavola deve essere servito un piatto più povero. quindi sì al riso (ma senza ricchi condimenti) e al latte: sono bianchi, e il bianco, colore della purezza, è un naturale richiamo alla Quaresima; sì dunque anche al pesce 'povero'. Nel Medioevo, a
Pisa, il piatto classico della Quaresima e di tutti i giorni in cui era prescritta l’a­stinenza, era la ribollita, molto apprez­zata anche dai signori locali. Ma tutta la penisola conosceva piatti quaresimali: il brodo di pesce (preparato in Liguria), le lagane e ceci (ricetta della Basilicata), o le orecchiette con le cime di rapa (ti­piche della Puglia): ieri come oggi aiu­tano la celebrazione del tempo quare­simale anche a tavola».  
È pur vero che alcuni cibi che un tem­po erano considerati poveri, oggi co­stano un occhio della testa.
 «È così. La nostra selezione dovrebbe
tener conto non solo delle qualità orga­nolettiche di un alimento, ma anche del prezzo indicato in etichetta. Quello del valore del cibo era un problema che si ponevano anche i nostri antenati. Il ca­so forse più eclatante è quello del for­maggio: alimento sì bianco, ma che molti consideravano 'ricco'. Di lì il pro­verbio: 'Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pe­re' ».
 Riepilogando.

 «La Chiesa ci indica un obiettivo: la pu­rificazione, necessaria a prepararsi alla festa. Ciascuno, in coscienza, sa come raggiungerla. Insomma, secondo la leg­ge dell’amore, e non la legge per la legge, an­che la penitenza è creativa. E sempre de­ve essere accompa­gnata dalla preghiera e da un gesto di carità. Ovvero: rinunciare a qualcosa per donarlo a chi è meno fortunato di noi».

 Oggi alcuni cristiani non mangiano carne pregustando l’habitat che po­trebbero trovare in Paradiso. Fanno be­ne?

 «La loro scelta è rispettabilissima. In Ge­nesi si legge che Adamo ed Eva segui­vano una dieta vegetariana. E però la stessa Bibbia ci dice che, concluso il di­luvio universale, Dio stipulò una nuova alleanza con l’uomo, concedendogli di bere del vino e di mangiare carne, pur depurata dal sangue. Gesù stesso, da buon ebreo, ha sicuramente mangiato della carne, almeno del cosciotto di a­gnello, nel giorno della Pasqua».

Autore: Andrea Bernardini

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