Don Pino è beato

Per ricordare don Pino, che oggi viene proclamato beato, vi lascio la testimonianza di suor Carolina Iavazzo, che è stata al fianco di questo santo sacerdote, vittima della mafia, dal 1991 al ’93.

Cosa sarà per lei il giorno della beati­ficazione?
Di grande gioia, come quando si squar­cia il cielo dopo una tempesta e vedi l’azzurro. Su padre Puglisi si è detto di tutto: è stato un prete antimafia, ma non sono d’accordo, è stato un eroe, ma gli eroi li creiamo noi per non im­pegnarci abbastanza.  
E allora chi era?
Un prete di strada che ha dato tutto a Dio, ma nella misura in cui ha dato tut­to a Dio ha dato tutto all’uomo. E in questo binomio Dio-uomo è rimasto fedele a Dio e fedele all’uomo. Viveva un bellissimo rapporto con il Signore. L’ho visto tante volte in preghiera, nel­­l’Eucaristia, quando spezzettava la Pa­rola di Dio per renderla semplice per le persone semplici di Brancaccio. Però l’ho visto anche fortemente impegna­to nel quartiere, quando si interessa­va delle famiglie che non avevano il pane quotidiano, il pane della speran­za, neanche il pane della sicurezza fi­sica. Quando il mafioso dice «siamo noi che diamo pane e lavoro, non la Chiesa o lo Stato», è una grande bugia. La mafia dà pane e lavoro, se di lavoro si può parlare, solo a se stessa. Soldi, benessere. Mentre padre Puglisi, in oc­casione della festa di San Gaetano, at­traversa con la processione le vie di Brancaccio tra mura fatiscenti, su una terrazza i boss festeggiano con lo champagne.
Quando è andata a Brancaccio sape­va cosa avrebbe incontrato?
Solo quando hanno ucciso padre Pu­glisi ho capito le gravi condizioni di quel quartiere. Vedevo che c’era mol­to degrado e da quello quanta mafia c’era. Degrado ambientale, morale, strutturale, ma anche di cultura e i­struzione. Infatti padre Puglisi aveva colto il fenomeno della mafia proprio dalla mancanza d’istruzione.
E insisteva molto sulla scuola.
Diceva che se l’uomo si apre al sapere riesce a gestire anche le forze occulte della mafia, a distinguere il bene dal male, ma se vive nell’ignoranza, per un pezzo di pane che la mafia gli dà in quel momento, non riesce a guardare al futuro.
Lei non aveva percepito il livello del­la violenza mafiosa?
Padre Puglisi ci proteggeva. Cercava di caricare tutto su di sé. Spesso lo vede­vo con gli occhi arrossati, il labbro spaccato, ma mi diceva: «Non si preoc­cupi, io soffro di pressione alta». Non era vero. Era per tenerci fuori…
Qual è l’immagine di quel giorno?
Lo sconforto interiore, la folla, la rab­bia del cardinale Pappalardo. Però l’immagine che porto negli occhi, ol­tre che nel cuore, è quando l’ho visto sulla barella. La testa leggermente pie­gata sulla spalla destra, il colpo di pi­stola dietro l’orecchio da cui perdeva ancora sangue. Gli occhi semiaperti, si vedeva ancora il celeste. Un volto se­reno. Era lui. Questa è l’immagine che mi porto di quel giorno. La più bella, anche se la più dolorosa della mia vi­ta.
Perché la mafia decise di ucciderlo?
Portava avanti la logica del Vangelo: cercare l’uomo fino in fondo, non fin quando ti fa comodo o fin quando puoi e poi quando vedi il pericolo scappi. No, lui resisteva, non sarebbe mai tor­nato indietro. Per vivere la logica del Vangelo si era messo di traverso alla mafia. Ma la mafia non ama essere sfi­data, soprattutto da un prete. È abi­tuata a comandare. Quello che lui chie­deva era proprio il contrario delle lo­giche di mafia.
Cosa chiedeva don Puglisi?
Più civiltà nel quartiere, una scuola media, una bonifica dalla sporcizia più totale, compresa droga e degrado mo­rale. Assistevamo tante famiglie di ma­fiosi in carcere che facevano pena per­ché vivevano in questo squallore, illu­se e ingannate. Lui voleva rompere tut­to questo. Per togliere i giovani alla mafia. Li aveva già portati via. Cominciò dai bambini, perché sono i più aperti al cambiamento. E questo dava terribil­mente fastidio alla mafia.
Cosa rimane di don Puglisi?
Un messaggio forte a livello di co­scienza per ciascuno, a cominciare da me che ho fatto 'una scelta nella scel­ta'. I giovani che vengono qui in visi­ta non escono come sono entrati. E sic­come stiamo vivendo un periodo di mediocrità soffusa e diffusa, padre Pu­glisi diventa una terapia d’urto: se lui è riuscito a fare questo, anche io pos­so impegnarmi.
Cosa le manca di lui?
Era un motore di idee… Ma mi man­ca soprattutto il suo sorriso. Era una persona ottimista. Dove arrivava ti da­va sicurezza, quando avevamo incer­tezze lui ci diceva «tranquilli». Si fida­va molto di Dio.

da Avvenire del 24 maggio 2013

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