Accorgersi che Dio scrive dritto anche sulle righe storte degli uomini

"Dio scrive dritto anche sulle righe storte degli uomini".
Spesso me lo sono sentito dire e anche io l'ho ricordato a me stessa e a chi stava attraversando un momento difficile. Non si tratta di rassegnazione, ma di consapevolezza che dal male se ne può uscire più forti se poniamo la nostra vita nelle mani di qualcun altro e, per chi si fida di Gesù, di quel Dio che offre il bene anche negli angoli più bui. 
I tempi che stiamo vivendo ci fanno percepire tutta la fragilità di un sistema che pensavamo ci avrebbe destinato tutti al successo e al benessere. Quanta arroganza in questo modo di pensare!!! Abbiamo costruito un castello sulle sabbie mobili....e ora, invece di sostenerci l'un l'altro, stiamo tirando fuori il peggio di noi. Che amarezza! direbbe la mia cara collega. 
Ne possiamo uscire soltanto convertendo totalmente il nostro cuore e risvegliandoci dal sonno della ragione, perché a prevalere sono purtroppo la rabbia e le soluzioni dettate da un egoismo irragionevole. Chi bazzica un po' la Bibbia, si sarà imbattuto in brani in cui Dio si rivela nel sogno o in cui il sonno è preludio ad un grande cambiamento. Dio ci sveglia dal sonno per invitarci a realizzare il suo progetto che è per il bene, non solo personale. 
E quando le cose sembrano mettersi male, Dio invita a vedere con il suo stesso sguardo: dal male può venire anche il bene se ci apriamo alla sua provvidente misericordia. 
L'articolo di Mauro Magatti, pubblicato su Avvenire del 30 agosto è un contributo al risveglio 😁. 

 «Le restrizioni che ci sono state imposte dal virus hanno generato un diffuso senso di responsabilità. Ma hanno anche sviluppato forti reazioni che in alcuni casi hanno rasentato la violenza. Una società più sobria ha bisogno di una pedagogia che oggi non c’è. Ecco perché è necessario che tutti coloro che hanno responsabilità pubbliche – dai politici agli imprenditori, dai manager ai docenti – evitino di cavalcare la tigre dell’odio che questa stagione inevitabilmente alimenta. In definitiva, la 'fine dell’abbondanza' potrebbe essere il vincolo esterno per avviare quella trasformazione di cui si sente il bisogno ma che non si sa come realizzare. Riuscendo a immaginare una crescita che, senza ridursi all’aumento dei consumi privati, sia capace di rigenerare i legami sociali, di affiancare ai diritti individuali i doveri sociali, di scommettere sulla sussidiarietà intesa come responsabilità diffusa, di investire sulla generazione e sulla formazione, di portare avanti la transizione energetica sapendo della sua urgenza e dei suoi costi. La 'fine dell’abbondanza' significa fondamentalmente risvegliarsi dal sonno della ragione che ci ha portati a credere che la crescita sia frutto di un meccanismo automatico, di un funzionamento sistemico, indipendente dalla spinta spirituale e dalla intelligenza che vengono dalle persone e dalla comunità. Nella società che abbiamo la possibilità di costruire non si tratta più semplicemente di rivendicare il proprio benessere individuale, ma di contribuire al bene comune».

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