tag:blogger.com,1999:blog-83669715738843315662024-03-13T11:05:06.881+01:00Il blog di profrelperché un'ora di religione non bastaprofrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.comBlogger1645125tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-16087726312471549492024-03-07T10:42:00.000+01:002024-03-07T10:42:51.274+01:00Beatitudini, la Magna Charta di Gesù<span style="background-color: white;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQIlhsurhMJpsfZmZLSl3JVKd_r8-qTITBo6HLI2StmZF6q3BtFJRch6UcZKx7jgccKufdVZwJPj448uYmoG5-SuNjroXgMam_rznrBbTPPmfCvWqe82GHLlmMn_lFNE6kS6f1gJCkppOiRhu5eI86NsdIClOB8_1K_09l9GN1IT1eUWocKgY8w6Hf82I/s1220/beatitudini3.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="760" data-original-width="1220" height="199" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQIlhsurhMJpsfZmZLSl3JVKd_r8-qTITBo6HLI2StmZF6q3BtFJRch6UcZKx7jgccKufdVZwJPj448uYmoG5-SuNjroXgMam_rznrBbTPPmfCvWqe82GHLlmMn_lFNE6kS6f1gJCkppOiRhu5eI86NsdIClOB8_1K_09l9GN1IT1eUWocKgY8w6Hf82I/s320/beatitudini3.jpg" width="320" /></a></div>Primo giorno di scuola del maestro Gesù, all’aperto, sulla collina, il cielo come soffitto, l’erba per pavimento, l’abside del lago sullo sfondo. E il primo argomento che il giovane rabbi di Nazaret tratta nella sua prima lezione, è il tema della felicità: beati voi, ripete per otto volte. La prima rivelazione: Dio vuole figli felici. </span><div><span style="background-color: white;">La vita è e non può che essere una ricerca di felicità. La felicità sempre provvisoria dei viandanti. E invece di un discorso alla Robin Williams, nel film L’a</span>ttimo fuggente, uno di quei discorsi accattivanti e piacioni, fa una lezione drammatica e impopolare. Parla di poveri, di perseguitati, di piangenti, di affamati. Sceglie le ferite delle persone: <span style="background-color: #ffe599;">le Beatitudini sono ferite che diventano feritoie, in cui si affaccia una terra nuova e felice. </span></div><div>La genialità di Gesù: non imposta il suo progetto su di una morale umana, ma su di <span style="background-color: #ffe599;">una lieta notizia: Dio regala gioia a chi produce amore, aggiunge vita a chi edifica pace. </span></div><div>Le Beatitudini non raccolgono precetti o divieti, di cui rendere conto, ma sono la bella notizia che chi somiglia a Gesù, affamato di giustizia e di pace, cuore limpido e mite, vive meglio, umanizza il mondo, apre brecce nel muro della storia per sbirciare dentro il Regno, in una umanità nuova e migliore. Una differenza sostanziale rispetto alle dieci parole è il fatto di passare <span style="background-color: #ffe599;">dall’ubbidire a degli ordini all’ubbidire solo alla felicità. </span></div><div>La beatitudine posta in apertura al primo discorso di Gesù è la chiave di volta, la condizione perché esistano tutte le altre: beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli (Mt 5,3) [...]. </div><div>Ci saremmo aspettati: beati perché ci sarà un capovolgimento, la ricchezza passerà in mano vostra. Beati perché sarete i ricchi di domani. No. Il progetto di Dio è più profondo e più delicato. </div><div>Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno, è con voi che Dio cambierà la storia, non con i potenti. <span style="background-color: #ffe599;">Il Signore vuole vedere il mondo con gli occhi dei piccoli e dei poveri.</span> Solo se proviamo anche noi a vedere il mondo così, con lo sguardo dei deboli e degli ultimi, solo allora potrà cambiare questa nostra storia.<span style="background-color: #ffe599;">
L’economia della piccolezza attraversa l’intera Bibbia e ne rappresenta un’anima profondissima.</span> Quella di Abele, delle donne sterili e madri, di Giuseppe venduto, di Amos e Geremia, di Betlemme, delle Beatitudini, del Golgota. Dio si rivela a Elia come una sottile voce di silenzio, solo una voce, non si vede e non si tocca; si sceglie come alleato il più piccolo tra i popoli, diventa bambino e poi lascia suo figlio e i nostri figli appesi a una croce. <span style="background-color: #ffe599;">Prendere sul serio l’economia della piccolezza e della povertà ci porta a guardare il mondo in altro modo, e anche le nostre ferite</span>. A cercare i re di domani tra gli scartati e tra i poveri di oggi, a prendere molto sul serio i giovani e i bambini, <span style="background-color: #ffe599;">a trovare meriti là ove l’economia della grandezza sa vedere solo demeriti</span>. </div><div>La prima beatitudine riemerge come prima motivazione nel discorso inaugurale di Gesù nella sinagoga di Nazaret (Luca 4,18): sono venuto a portare una lieta notizia ai poveri [...]. «Il primo sguardo di Gesù nel Vangelo non si posa mai sul peccato dell’uomo, mai, ma sempre sul suo dolore o sul suo bisogno» (Johann Baptist Metz). Beati i poveri in spirito, specifica Matteo: davanti a Dio per l’anima non c’è nulla di meglio che essere nulla, pura trasparenza, come l’aria davanti al sole (Simone Weil).
La preoccupazione dell’annunciatore è di essere infinitamente piccolo, solo così l’annuncio sarà infinitamente grande (Giovanni Vannucci). </div><div><span style="background-color: #ffe599;">Le prime parole di Gesù dicono a tutti i disincantati di allora, a tutti i delusi di oggi: smettetela di essere tristi e sfiduciati, ascoltate, qualcuno ha una cosa bellissima da dirvi, così bella che appare incredibile..</span>.La notizia bellissima è questa: Dio è per i poveri, contro la povertà; è all’opera, qui tra le colline e il lago, per le strade di Cafarnao, in cammino su questi sentieri. Per umanizzare la vita e farla respirare. C’è polline divino nel mondo. Il Regno viene, è vicino, è qui, viene e fa fiorire la vita in tutte le sue forme. Beato, che ricorre più di cento volte nelle Scritture, ha un significato più vasto dell’immediata accezione di “felice, lieto, contento”. Possiamo intuirlo aprendo il libro dei salmi, il libro della nostra vita verticale, imbattendoci nel termine da subito, dalla prima parola del primo salmo: «beato l’uomo che non percorre la via dei malvagi». Il salmo collega beatitudine e cammino come nella illuminante ermeneutica di André Chouraqui:<span style="background-color: #ffe599;"> “beato” significa «in cammino, in piedi, in marcia, avanti, voi che non seguite la strada dei malvagi, non arrendetevi, non lasciate cadere le braccia». </span></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwNfBPv7QItIoQOUV3ZoVRHbWj1bG6x9bxHwZhPwWEZwWGrvONy5-WyOFWSk19IOjgNIcY5vHCacKJdw1xutd6_2RJmbHqPAx8OinXdRkKX7ROEO9G7J90qIV3cHDA0FZ9-IMDURlcRe1ncD3DlOFdBt_7fQgyrrtNXbrAoOANn8BtljtXUCY3_ALMuv0/s1216/incammino.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="692" data-original-width="1216" height="161" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwNfBPv7QItIoQOUV3ZoVRHbWj1bG6x9bxHwZhPwWEZwWGrvONy5-WyOFWSk19IOjgNIcY5vHCacKJdw1xutd6_2RJmbHqPAx8OinXdRkKX7ROEO9G7J90qIV3cHDA0FZ9-IMDURlcRe1ncD3DlOFdBt_7fQgyrrtNXbrAoOANn8BtljtXUCY3_ALMuv0/w284-h161/incammino.jpg" width="284" /></a></div>In cammino voi poveri; in piedi voi miti; avanti, in marcia, fate il primo passo, <span style="background-color: #ffe599;">in piedi voi che siete a terra, rialzatevi, ricominciate. Dio cammina con voi. </span></div><div>«<span style="background-color: #ffe599;">La Provvidenza conosce solo uomini in cammino</span>» (san Giovanni Calabria). </div><div>Tratto da <b>Avvenire </b>del 3 marzo 2024</div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-81608816643948788652024-02-23T07:30:00.002+01:002024-02-23T07:30:00.344+01:00NESSUNO SI SALVA DA SOLOVenerdì 20 marzo del 2020, in una piazza San Pietro incredibilmente vuota, papa Francesco pregava Dio perché ci aiutasse contro la pandemia.
In quell'occasione, richiamando l'immagine degli apostoli nella tempesta, ci ricordava che non potevano andare ciascuno per conto proprio, ma che solo insieme potevano farcela, perché "Nessuno si salva da solo". <div>Non so che ne pensiate voi, ma a me sembra che invece di aprirci agli altri ci siamo chiusi in noi stessi, o meglio, il post covid ci ha reso affamati di vita e di relazioni che tendiamo a vivere, però, nella frenesia e nella superficialità. Fondamentalmente, pur cercando di stare con gli altri, siamo concentrati solo su noi stessi e sull'appagamento dei nostri bisogni. Ho l'impressione (condivisa con molti colleghi) che sempre di più siano gli alunni che fanno tanta difficoltà a comprendere gli stati d'animo degli altri, a regolare i propri comportamenti a seconda del contesto e dei momenti, a sostenere il confronto con un no o con un'opinione che contrasta con la propria, o anche a chiedere aiuto senza dover immancabilmente accusare gli altri del proprio malessere. </div><div>Vogliamo parlare anche dei genitori? La fragilità dei figli è sempre colpa della Scuola, con la quale non è possibile collaborare, ma alla quale invece si rivolge la pretesa che non crei problemi e si adegui agli orari, agli svaghi e agli impegni familiari. Ma questo è un altro discorso😉. </div><div>Con gli studenti di prima media ho creato una caccia al tesoro sulla Bibbia (che ho inserita in un post precedente) che, tra i vari giochi e proposte di attività ne conteneva una che portava proprio alla costruzione della frase "Nessuno si salva da solo". Ma cosa c'entra questa frase con la Bibbia? </div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhnYenAUtzuyQ5rihcXhRBy_RGGx90OZhAWst_zMbIyk2raTm2inEWBwGm4k8XrNEvLUwk6hrYy3fm1Vh0ZTj8GSj1V6nQDevNSK8Ll0P7F50GTh-juHAXNimxNa1VExRTGMfxf_Lt7G3ltTEOZY1uq-VpDKKGrOv_sqv1_b_z8lH-EyJhRIA0raRDN3gM/s801/lettera.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="404" data-original-width="801" height="101" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhnYenAUtzuyQ5rihcXhRBy_RGGx90OZhAWst_zMbIyk2raTm2inEWBwGm4k8XrNEvLUwk6hrYy3fm1Vh0ZTj8GSj1V6nQDevNSK8Ll0P7F50GTh-juHAXNimxNa1VExRTGMfxf_Lt7G3ltTEOZY1uq-VpDKKGrOv_sqv1_b_z8lH-EyJhRIA0raRDN3gM/w200-h101/lettera.jpeg" width="200" /></a></div>Gregorio Magno definì la Bibbia come una lettera d'amore che Dio ha scritto a noi esseri umani per aiutarci a comprendere il senso di noi stessi, della vita, della ricerca di felicità. La Bibbia non è tanto un libro che racconta la storia di Dio, ma casomai la storia di un Dio che le fa tutte (perdonate l'espressione) per entrare in relazione con noi, perché, come dice la Dei Verbum, Egli vuole renderci partecipi della sua vita divina. La Bibbia allora ci presenta la storia umana come manifestazione della volontà salvifica di Dio, che ci coinvolge tutti e tutti siamo chiamati, così come Dio si prende cura di noi, a prenderci cura gli uni degli altri. </div><div>Gesù ci ha insegnato come l'amore verso Dio non è autentico se non è unito all'amore per gli altri e che nel giorno del Giudizio verremo chiamati a rendere conto della cura che avremo avuto verso i più bisognosi. Nessuno si salva da solo perché non ci auto-salviamo ma abbiamo bisogno di rimanere nella relazione con Dio, ma anche perché siamo chiamati a "incarnare" questa relazione nell'amore verso il prossimo. </div><div>Attraverso la Bibbia Dio ci dice il suo amore e ci invita a vedere il mondo con i suoi occhi, che sanno andare oltre l'apparenza e sanno cogliere quanto di vero e buono ci può essere in ognuno di noi. Soltanto con quello sguardo possiamo accostarci agli altri, vedendo in ciascuno la possibilità che ci viene offerta per contribuire alla costruzione di un mondo più umano. </div><div>Quando ci crediamo onnipotenti tradiamo la nostra umanità, diventiamo nemici gli uni gli altri, facciamo del Mondo un Inferno 😔.
</div><div><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNiVGveWBs2Vw5jpdol2rZYhR24USK5troer8cZgkcAjMIChdkTkZdI2p96WX0MLHx3EM7j8pzy33EIO3xKkN_9h3QM5j_K_bzZYK6WDJCfzsqJhMJ337vSjc9YtMt58d1QaiYrdrgy5sz3WU9MFI0Ica7x5eUkJh-cGdH95-NmpK-3LqV9sRURvma0Mw/s1536/NESSUNOSISALVADASOLO.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="1536" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNiVGveWBs2Vw5jpdol2rZYhR24USK5troer8cZgkcAjMIChdkTkZdI2p96WX0MLHx3EM7j8pzy33EIO3xKkN_9h3QM5j_K_bzZYK6WDJCfzsqJhMJ337vSjc9YtMt58d1QaiYrdrgy5sz3WU9MFI0Ica7x5eUkJh-cGdH95-NmpK-3LqV9sRURvma0Mw/s320/NESSUNOSISALVADASOLO.jpg" width="320" /></a></div><br /><div><br /></div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-11369906053157987532024-02-14T10:38:00.000+01:002024-02-14T10:38:19.275+01:00Quando tutto crolla Ho seguito con commozione il monologo di Allevi all'Ariston di Sanremo. In questo momento sono molto sensibile a certi argomenti 😄.
La fragilità, che Allevi non ha avuto alcuna remora a nascondere, diventa la vera forza dell'essere umano, quando non si chiude in se stesso ma si apre al Tutto.
Bellissime parole, le sue, che vi consegno integralmente. <div> "All'improvviso mi è crollato tutto. Non suono più il pianoforte davanti ad un pubblico da quasi due anni. Nel mio ultimo concerto, alla Konzerthaus di Vienna, il dolore alla schiena era talmente forte che sull'applauso finale non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello. E non sapevo ancora di essere malato. Poi è arrivata la diagnosi, pesantissima. Ho guardato il soffitto con la sensazione di avere la febbre a 39 per un anno consecutivo.Ho perso molto, il mio lavoro, ho perso i miei capelli, le mie certezze, ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se la malattia mi porgesse, assieme al dolore, degli inaspettati doni. Quali? Vi faccio un esempio.…
Non molto tempo fa, prima che accadesse tutto questo, durante un concerto in un teatro pieno, ho notato una poltrona vuota. Come una poltrona vuota?! Mi sono sentito mancare! Eppure, quando ero agli inizi, per molto tempo ho fatto concerti davanti ad un pubblico di quindici, venti persone ed ero felicissimo! Oggi....dopo la malattia, non so cosa darei per suonare davanti a quindici persone. I numeri...non contano! Sembra paradossale detto da qui. Perché ogni individuo, ognuno di noi, ognuno di voi, è unico, irripetibile e a suo modo infinito.
Un altro dono! La gratitudine nei confronti della bellezza del Creato. Non si contano le albe e i tramonti che ho ammirato da quelle stanze d'ospedale. Un altro dono. La riconoscenza per il talento dei medici, degli infermieri, di tutto il personale ospedaliero. Per la ricerca scientifica, senza la quale non sarei qui a parlarvi. La riconoscenza per l'affetto, la forza, l'esempio che ricevo dagli altri pazienti, i guerrieri, così li chiamo. E lo sono anche i loro familiari, e lo sono anche i genitori dei piccoli guerrieri.
Quando tutto crolla e resta in piedi solo l'essenziale, il giudizio che riceviamo dall'esterno non conta più. Io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo. E come intuisce Kant alla fine della Critica della Ragion Pratica, il cielo stellato può continuare a volteggiare nelle sue orbite perfette, io posso essere immerso in una condizione di continuo mutamento, eppure sento che in me c'è qualcosa che permane! Ed è ragionevole pensare che permarrà in eterno. Io sono quel che sono. Voglio andare fino in fondo con questo pensiero. Se le cose stanno davvero così, cosa mai sarà un giudizio dall'esterno? Voglio accettare il nuovo Giovanni. Come dissi in quell'ultimo concerto a Vienna, non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con tutta l'anima. Il brano si intitola Tomorrow, perché domani, per tutti noi, ci sia sempre ad attenderci un giorno più bello!"
</div><div><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiy_sLgzxp0K1gapqkv2-HDvdffDOilc9MolSyQQkVnB9-xu0ZqmPGiPLX_BDHlGFJaPgynDgqKUu9I0EXBIuX-HA6roqUA2O7nWOX6GXeeEMVCTxBQTQCbEXZvYuodoAJ3rRnhgHA5QHGNReFrJWDXmxs86nkH1EyRjGneXeeDaoGvKAWFwUDPnHj6u-U/s1024/pixlr-image-generator-0de4d03e-cb4d-47e3-b4eb-e87e2c32f137.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="1024" height="304" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiy_sLgzxp0K1gapqkv2-HDvdffDOilc9MolSyQQkVnB9-xu0ZqmPGiPLX_BDHlGFJaPgynDgqKUu9I0EXBIuX-HA6roqUA2O7nWOX6GXeeEMVCTxBQTQCbEXZvYuodoAJ3rRnhgHA5QHGNReFrJWDXmxs86nkH1EyRjGneXeeDaoGvKAWFwUDPnHj6u-U/w304-h304/pixlr-image-generator-0de4d03e-cb4d-47e3-b4eb-e87e2c32f137.png" width="304" /></a></div><br /><div><br /></div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-3353629863668700462024-02-08T11:21:00.004+01:002024-02-08T11:21:39.102+01:00CACCIA AL TESORO SULLA BIBBIAVi propongo un'attività pensata per le classi prime. E' stata realizzata con Genially e può offrire da spunto per qualcosa di analogo, visto che non può essere utilizzata tout court in quanto fa richiami al libro di testo adottato (<i>Il nuovo che vita</i>, de La Spiga-San Paolo).
<div style="width: 100%;"><div style="position: relative; padding-bottom: 56.25%; padding-top: 0; height: 0;"><iframe title="Caccia al tesoro sulla Bibbia1" frameborder="0" width="1200" height="675" style="position: absolute; top: 0; left: 0; width: 100%; height: 100%;" src="https://view.genial.ly/65b69692cf83e100132920ce" type="text/html" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true" scrolling="yes" allownetworking="all"></iframe> </div> </div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-82116538831415578872023-12-14T18:13:00.001+01:002023-12-14T18:13:52.777+01:00La proposta in mappa per la prima media<div style="width: 100%;"><div style="position: relative; padding-bottom: 28.09%; padding-top: 0; height: 0;"><iframe title="La sapienza della religione" frameborder="0" width="1125" height="316" style="position: absolute; top: 0; left: 0; width: 100%; height: 100%;" src="https://view.genial.ly/657b2febcd88c00013b718ef" type="text/html" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true" scrolling="yes" allownetworking="all"></iframe> </div> </div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-46868372895562863692023-11-29T17:36:00.001+01:002023-12-13T17:17:31.738+01:00La proposta in mappa per le classi di LiceoLa mancanza di post non è conseguenza di una dissaffezione al lavoro didattico e alla creatività. Non so come mai (l'età che avanza o gli impegni stringenti e numerosi?) ma non riesco ad aggiornare con costanza il blog come vorrei.
Oggi, stranamente ma non tanto (domani le classi sono coinvolte in un'attività che le coinvolgerà durante le mie ore), mi sono trovata un po' di tempo e ho pensato di inserire la mappa del lavoro che sto facendo nelle classi del liceo. <div><br /></div><div>
IV Liceo SU
<div style="width: 100%;"><div style="position: relative; padding-bottom: 46.67%; padding-top: 0; height: 0;"><iframe title="Credere" frameborder="0" width="1200" height="560" style="position: absolute; top: 0; left: 0; width: 100%; height: 100%;" src="https://view.genial.ly/6579d0698450680014d18809" type="text/html" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true" scrolling="yes" allownetworking="all"></iframe> </div> </div>
V Liceo SU
<div style="width: 100%;"><div style="position: relative; padding-bottom: 68.63%; padding-top: 0; height: 0;"><iframe title="kronos o kairos?" frameborder="0" width="1189" height="816" style="position: absolute; top: 0; left: 0; width: 100%; height: 100%;" src="https://view.genial.ly/6579ca12242f4c0014f990a6" type="text/html" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true" scrolling="yes" allownetworking="all"></iframe> </div> </div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-11913007482702245672023-10-27T06:30:00.004+02:002023-10-27T06:30:00.144+02:00Rimanere umili 😉Qualche giorno fa si parlava a scuola proprio di questo: l'umiltà di chi è consapevole dei propri limiti e di chi cerca sempre di migliorarsi. Se ne parlava rispetto alla scuola, che dovrebbe essere bella proprio per questo: mi dà modo di conoscere nuove cose, di sperimentarmi nel confronto con gli altri e con i miei punti di forza e di debolezza. <div>Leggendo il mio solito quotidiano (<b>Avvenire del 26/10/2023</b>) mi imbatto in un articolo di <b>MARCO VOLERI</b>, che vi riporto, perché aggiunge altro a quanto ci siamo detti. So di non sapere e per questo resto disponibile ad aggiungere ulteriori tasselli al mio bagaglio culturale e umano.</div><div><br /></div><div>Ammiro molto l’incoscienza di chi crede di sapere tutto o quasi. </div><div>Avete presente il classico tipo col sorriso smagliante e la verità nel taschino della giacca blu? Quando mi trovo davanti a personaggi che credono di sapere tutto, e di saperne più di te, mi chiedo sempre: “ma questo ci è o ci fa?”. </div><div>Scomodiamo Socrate e il suo famoso detto «so di non sapere», a lui attribuito attraverso Platone. Il filosofo racconta che la vera saggezza inizia con la consapevolezza della propria ignoranza. L'ignoranza qui non è da considerarsi come mancanza di conoscenza ma come il riconoscimento sincero delle nostre limitazioni nell'acquisizione di conoscenza assoluta. È il riconoscimento che il sapere umano è limitato, sempre in evoluzione, e che non possiamo mai pretendere di avere tutte le risposte. </div><div>Questa presa di coscienza può essere vista come umiltà intellettuale, virtù che ci spinge a porci domande, a cercare, a esplorare le diverse prospettive. </div><div>Credo però che il «so di non sapere» sia anche una chiamata all’empatia e alla comprensione. </div><div>Quando riconosciamo la nostra ignoranza diventiamo più aperti alla possibilità di metterci nei panni degli altri. Socrate credeva che solo attraverso il dialogo e l'ascolto attento fosse possibile sperare di comprendere gli altri e noi stessi. </div><div>Questo atto di mettersi nei panni degli altri non è solo un mezzo per apprendere dalle esperienze altrui ma anche per sviluppare una maggiore comprensione e compassione. Non so voi, ma per me il desiderio di conoscenza, che scaturisce dalla consapevolezza della mia ignoranza, è un motore pieno di cavalli per l’anima. </div><div>Sto studiando un’opera che credevo di conoscere già bene: quante cose non avevo notato prima, nonostante avessi approfondito la partitura in tante occasioni. </div><div>In un mondo spesso dominato da certezze inflessibili, «so di non sapere» ci invita a <b>essere modesti nella nostra ricerca di conoscenza e ad abbracciare l’incertezza come una parte essenziale della vita</b>.</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcaDsm3vYwR0Tl9vGkdRf2fr8ZRPivWYNb1pyZj7ZYDFGNhsi4PiIhtKMpOZAkIY-2TKfXGQjj_1cCjnGZpvwovfj4mkaKk8lVRqXF7QG-FBOYlPwz8LvJkPIU5HOv5EXN_paun6W4FVOcmxkx383TCbPQgN5Fll-zQ4QaTg6RdZ0N5mvOtMyKmM6STIw/s1024/sodinonsapere.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="1024" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcaDsm3vYwR0Tl9vGkdRf2fr8ZRPivWYNb1pyZj7ZYDFGNhsi4PiIhtKMpOZAkIY-2TKfXGQjj_1cCjnGZpvwovfj4mkaKk8lVRqXF7QG-FBOYlPwz8LvJkPIU5HOv5EXN_paun6W4FVOcmxkx383TCbPQgN5Fll-zQ4QaTg6RdZ0N5mvOtMyKmM6STIw/s320/sodinonsapere.png" width="320" /></a></div><br /><div><br /></div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-37893745838638132632023-10-05T06:30:00.005+02:002023-10-05T18:06:54.626+02:00Tempo che divora o tempo che vola?<div class="separator"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjd5dRwoumTfhNxeT0zgIGosKXfIDN5m9kGlvyADd_tKmhO_Bot8VQ07MUQb-hv5xbLsurNq_f28nCIkaumTaJb0vZILOIsMYlJeGFZpLN_fES2BjiiiZUBBkpvhD8kVVhhL834SJ9FZb_K30WPPsr0vkB29J05sACqqbNrYMpjHRAeaLshS4o-2rXz3uk/s650/orologio.jpeg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; text-align: right;"><img border="0" data-original-height="433" data-original-width="650" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjd5dRwoumTfhNxeT0zgIGosKXfIDN5m9kGlvyADd_tKmhO_Bot8VQ07MUQb-hv5xbLsurNq_f28nCIkaumTaJb0vZILOIsMYlJeGFZpLN_fES2BjiiiZUBBkpvhD8kVVhhL834SJ9FZb_K30WPPsr0vkB29J05sACqqbNrYMpjHRAeaLshS4o-2rXz3uk/s320/orologio.jpeg" width="320" /></a></div><span style="background-color: #fff2cc;">La parola tempo viene probabilmente da una radice che indicava «tagliare»</span>, così come per analogia alcune misure di tempo vengono dal verbo latino «secare» (tagliare): secondo e secolo. Coerentemente le lancette (diminutivo di lancia) cominciarono a tagliare il silenzio per ricordarci che moriremo.<br /><div>Nella Genesi le lancette non erano però così cruente: «Dio disse: “Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra”. Dio fece la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle. E Dio vide che era cosa buona». </div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Nella cultura giudaico-cristiana lo scorrere del tempo è perciò il regolare trascorrere della luce sulle cose, non la violenta lotta del mito greco</span>. In quest’ottica il tempo/luce potrebbe forse riconciliarci con l’incalzante tic tac delle lancette: se ogni rintocco sprigionasse luce, il tempo ci sarebbe meno nemico.
La frattura tra luce e tempo è una ferita aperta nel corpo dell’uomo di oggi. <span style="background-color: #fff2cc;">Il consumismo frantuma l’esperienza del tempo </span>come alternanza del giorno e della notte: le luci artificiali divorano il sonno. I primi a pagarne le conseguenze sono i ragazzi (da quando esistono gli smartphone, dormono in media un’ora in meno con conseguenze negative sulla loro salute psicofisica). </div><div>Il sonno è vita, non un carica-batterie, né, ancora peggio, una malattia, a cui presto la chimica risponderà diminuendone le ore, per averne di più per «fare» e «consumare». Dopare il tempo è un’illusione tossica. </div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEheSfbVLTtkXvIVAgKi9F0F2boEZ0OA-PrmktrzZvVRKb9CHLa50Ihu83ZeD6Xl-oUv5NhMEmLFhpUqp_dKzbE3s9KBw5TrTcOKwF963sZERVRRZvhwK6aDVL6vMJVIMcwAARy_Dzfhu4V7RrvkezyS3WVo1mHOig2yJZnRuz9hN-KHeh1b0WM1G7RaXwA/s612/cronos.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="334" data-original-width="612" height="175" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEheSfbVLTtkXvIVAgKi9F0F2boEZ0OA-PrmktrzZvVRKb9CHLa50Ihu83ZeD6Xl-oUv5NhMEmLFhpUqp_dKzbE3s9KBw5TrTcOKwF963sZERVRRZvhwK6aDVL6vMJVIMcwAARy_Dzfhu4V7RrvkezyS3WVo1mHOig2yJZnRuz9hN-KHeh1b0WM1G7RaXwA/s320/cronos.jpg" width="320" /></a></div><br /><span style="background-color: #fff2cc;">Ogni volta che l’uomo si allontana dal ticchettare di luce e buio, Cronos torna a divorare i suoi figli.</span>
Espressioni come «ottimizzare» ci illudono di esser noi a misurare il tempo e non lui a misurare noi, così ci abbandoniamo all’umanissimo miraggio di «guadagnarlo» accelerando o aumentando le attività.
<span style="background-color: #fff2cc;">Definire il tempo in termini di «denaro», «spreco», «perdita» tradisce il fatto che oggi pensiamo di fermarlo con la «produzione»</span>. <span style="background-color: #fff2cc;">In realtà ciò che è sprecato e perso è l’io:</span> chi sa chi è e che senso ha la sua vita, trova il suo tempo, anche se ne sperimenta la scarsezza. Non sente la necessità di doverlo aumentare e accelerare, ma lo accoglie grazie all’esperienza della «durata». </div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhtkkQSVCJ9HlOeP2SvSNseQmhC5rcP62cviFLxgj6XBzxAfptCTg45883JMBRK5rTPGN5ooS6F4YI1KpoMMJI5aWm9YuQ75j6e9Qu3H4xtUImUMpJBVwaLuKedVWJ0N3H36XJ_FBpD-H47LueWdKrqE2taWvF_sk013OT3bH2lKoOqe-4NEJCmHJh2ckc/s1024/Frenesia-1024x683.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="683" data-original-width="1024" height="118" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhtkkQSVCJ9HlOeP2SvSNseQmhC5rcP62cviFLxgj6XBzxAfptCTg45883JMBRK5rTPGN5ooS6F4YI1KpoMMJI5aWm9YuQ75j6e9Qu3H4xtUImUMpJBVwaLuKedVWJ0N3H36XJ_FBpD-H47LueWdKrqE2taWvF_sk013OT3bH2lKoOqe-4NEJCmHJh2ckc/w178-h118/Frenesia-1024x683.jpg" width="178" /></a></div><span style="background-color: #fff2cc;">Viviamo in modo frenetico non perché ci manca tempo, ma perché ci manca senso</span>: i clacson suonano allo scattare del verde, il passo veloce aggredisce la strada, come se da quei secondi dipendesse la salvezza. <br /></div><div><span style="background-color: #fff2cc;">L’unico modo per non essere «tagliati» dalle lancette è sostare</span>, che non è in-trattenersi, passare il tempo, ma <span style="background-color: #fff2cc;">in-dugiare, fare esperienza della durata: abitare il tempo.</span> </div><div>«Abitare» è la forma frequentativa del latino «habere» (avere): <span style="background-color: #fff2cc;">chi abita «continua ad avere», è padrone, non servo.</span> Non ha tempo chi non lo abita. Ma come si può indugiare in un mondo frenetico? </div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Il tempo acquisisce valore, non in base a ciò che facciamo, ma se siamo interiormente «servi» o «liberi» nel fare le cose.</span> Per me preparare e offrire una lezione su Dante diventa tempo libero: faccio esperienza della durata, quelle ore aprono il tempo, lo vincono perché sono vive e piene di senso. <span style="background-color: #fff2cc;">L’«istante» diventa «stare in», indugiare e soggiornare, luminosa durata, e non ripetizione da cui fuggire.</span> Qualsiasi cosa facciamo richiede tempo, e quel tempo è libero o servo in base al senso che gli diamo. </div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-5jx1CD1LWNHbqh4UmrL5_7v97L-EaXeg9hE-zFxIy7Dbp5GuiTmgDaYuaCcGnvMGxMNZFwF8awczlnaNtxrnNcKCzwq-3tc9mCPAD-CD4xe2qlhiUg7xbkcZvt7R8bCXZna3R1J5BnW43BMBsYx6NyCd62gQDRzWrdyW8ZzTZLUSOvToSNyiGXAevyQ/s500/Contemplare1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="333" data-original-width="500" height="175" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-5jx1CD1LWNHbqh4UmrL5_7v97L-EaXeg9hE-zFxIy7Dbp5GuiTmgDaYuaCcGnvMGxMNZFwF8awczlnaNtxrnNcKCzwq-3tc9mCPAD-CD4xe2qlhiUg7xbkcZvt7R8bCXZna3R1J5BnW43BMBsYx6NyCd62gQDRzWrdyW8ZzTZLUSOvToSNyiGXAevyQ/w263-h175/Contemplare1.jpg" width="263" /></a></div><span style="background-color: #fff2cc;">Il tempo lo si vince «contemplando»</span>, cioè quando si ripara la separazione di corpo e spirito. L’azione senza contemplazione diventa schiavitù: non occupa, pre-occupa. Con-templare ha la stessa radice di tempo: significava osservare un ritaglio di cielo, da cui la parola «tempio» (recinto sacro). <span style="background-color: #fff2cc;">Se il tempo non è un limite che apre sull’infinito, ci dilania: </span>la trasformazione della domenica, da giorno di relazioni a giorno di acquisti, è una vera e propria vivi-sezione. </div><div>Luce e buio sono lancette per amare.
Si guadagna tempo solo amando, perché amare rende il tempo «durata». Accade quando il (ri-)taglio di tempo che ci è assegnato, decidiamo «liberamente» di impegnarlo per qualcosa o qualcuno che ci fa uscire fuori da noi stessi (il tempo libero è quello «liberato per» non semplicemente «da»). </div><div>Solo quando ci diamo anima e corpo, lo scorrere del tempo rallenta, anche se siamo impegnatissimi, perché a segnarlo non è il passo misurabile dagli orologi: il susseguirsi orizzontale dei secondi. L’amore apre la dimensione verticale del tempo, non misurabile, perché è durata: un secondo si dilata e diventa un secolo. Verticale è il tempo dell’artista impegnato nell’opera, verticale è il tempo della madre in attesa, verticale è il tempo delle relazioni vere, verticale è il tempo della preghiera, verticale è il tempo del lavoro appassionato, verticale è il tempo delle foglie più belle prima di cadere, verticale è il tempo delle carezze, verticale è il tempo del perdono, verticale è il tempo dato a un figlio o a un alunno anziché al cellulare...</div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLFc2vi7aTUsGSwaMAMwGBCgOFoWGnu9Vsl-KwdXI9EGdm9Aq9zQdqf1eIgtPSRnMy4nW0Rtf32DjbrY-OKySvrf1hW41jC9pd39j2S-ZKp3NZlTtPErWhtyOqxmDOXUqFzvucHc-WEH5xHwBclbOOWd78HKR_Iim612upAJ1uHxW2eHZQ1hohV5oIkfU/s270/mammafigliopap%C3%A0.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="270" data-original-width="270" height="270" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLFc2vi7aTUsGSwaMAMwGBCgOFoWGnu9Vsl-KwdXI9EGdm9Aq9zQdqf1eIgtPSRnMy4nW0Rtf32DjbrY-OKySvrf1hW41jC9pd39j2S-ZKp3NZlTtPErWhtyOqxmDOXUqFzvucHc-WEH5xHwBclbOOWd78HKR_Iim612upAJ1uHxW2eHZQ1hohV5oIkfU/s1600/mammafigliopap%C3%A0.jpg" width="270" /></a></div><span style="background-color: #fff2cc;">Il tempo verticale non divora, ma vola</span>: indugiando se ne perde il senso dello scorrere proprio perché se ne vive profondamente il senso dello scorrere, anima e corpo uniti. Diventa nostro, non ci può essere più strappato. </div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Il tempo c’è, siamo noi a scegliere per chi è.</span> Il tempo è taglio che, per chi sa abitarlo, diventa tempio, invece resta tomba, pancia di Cronos, per chi lo subisce. Se diamo tempo, cioè senso, al tempo, ci stupiremo di quanta luce può sprigionare ogni ora, il tic tac segnerà il ritmo di ciò che dà vita non di ciò che la toglie, come accade alla scrittrice nel suo studio, perché il tempo, per chi lo abita, cioè per chi ama, non passa: dura.</div><div><br /></div><div>Liberamente tratto da <b>Alessandro D’Avenia</b> nella <b>Rubrica "Letti da rifare"</b> del <b><i>Corriere della sera</i></b> del 3 dicembre 2018 (testo integrale cliccando <a href="https://www.corriere.it/alessandro-davenia-letti-da-rifare/18_dicembre_03/37-tic-tac-tic-tac-4fa38bb0-f64f-11e8-965d-a4607dea17f7.shtml?refresh_ce" target="_blank">qui</a>)</div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-49254168523813401692023-09-14T06:30:00.001+02:002023-09-14T06:30:00.169+02:00La ragazza sempre in ritardo e la sua battaglia domesticaUna storia di scuola su cui riflettere. <div><br /><div>Carolina arriva in ritardo a scuola. La rimprovero: «Sei al liceo, è ora di diventare responsabile!». Niente, il giorno dopo è lo stesso: la campanella suona alle 8:00, ma lei entra in classe alle 8:09, giusto qualche istante prima che l’ingresso della scuola venga chiuso. Io, da prof inflessibile, guardiano delle regole, parto in quarta con un’altra filippica: « Essere puntuali significa rispettare tutti, in primis te stessa. Le regole sono importanti, non sono vuote imposizioni. Servono a una positiva convivenza civile, al benessere di tutti, all’efficace organizzazione del nostro lavoro ». E via così: una lezione di educazione civica in miniatura. Una lezione evidentemente inutile, visto che la mattina dopo Carolina è di nuovo in ritardo. O meglio, è puntualissima nel suo ritardo, come un orologio svizzero: continua a entrare a scuola alle 8:09 per giorni, per settimane.
Carolina frequenta la seconda superiore. Ha lo sguardo duro, carico di sfida, messo in rilievo dal trucco marcato. Carolina è impermeabile: tutto le scivola addosso. Carolina sta in classe comunicandoti in qualunque forma non verbale che quello che tu, prof, stai proponendo, a lei non importa per nulla. Carolina, al cambio d’ora, parla solo di ubriacature, di pomeriggi al parco a spaccarsi e a spaccare, di fumo, di trasgressione così costante da diventare noiosa. Con Carolina non riesci a dialogare: se ci provi lei tace, ma non abbassa mai lo sguardo. Eppure Carolina è geniale: assorbe tutto, ha un’intelligenza vivacissima, un senso critico di raro acume. È una di quelle che quando discuti di un argomento ne coglie immediatamente il cuore e, le poche volte che ne ha voglia, ne parla in modo impeccabile. Ma Carolina gioca sempre al minimo. Anche quando prende un bel voto ti guarda dall’alto in basso, come se ti dicesse: « Hai visto? Sei contento adesso?» Come se si degnasse di farti un favore, così non le rompi più le scatole.
Mi fa rabbia, Carolina.
<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9mpdSwtPFZYR-dkv0XAJuILsuKsMfM3nk2K7YIPrnVW7-m8c-_JKiT2qd-JpOt5yJy3mu-_yM_TKZ5TOQQHn_zhTqkG5fC6bhjDxhJR2mBWQoPw_skNsWerwrW4b3kgh36sirsE7J_k7mi7wzqUwmX3Cw-WyKqKkgrJ_OC7iZYS4YQiimqA3Fqfo9jjU/s1024/studentessa%20che%20dorme%20%20sul%20banco%20di%20scuola.png" style="clear: right; display: block; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="1024" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9mpdSwtPFZYR-dkv0XAJuILsuKsMfM3nk2K7YIPrnVW7-m8c-_JKiT2qd-JpOt5yJy3mu-_yM_TKZ5TOQQHn_zhTqkG5fC6bhjDxhJR2mBWQoPw_skNsWerwrW4b3kgh36sirsE7J_k7mi7wzqUwmX3Cw-WyKqKkgrJ_OC7iZYS4YQiimqA3Fqfo9jjU/w200-h200/studentessa%20che%20dorme%20%20sul%20banco%20di%20scuola.png" width="200" /></a></div>
Perché spreca così le sue doti? Da dove viene tutta quella voglia di provocare chiunque? Me lo chiedo per mesi senza trovare risposta. Poi arriva il momento dell’Eneide. A mo il capolavoro di Virgilio: in classe gli dedico diverse ore, leggendo molti brani insieme agli studenti. L’Eneide è sempre un’avventura, un grande viaggio. Ma quando il viaggio inizia, fin dal proemio con l’ira di Giunone, Carolina scivola sul banco, chiude gli occhi e si addormenta. Le pagine del libro, con i loro versi immortali, diventano un improvvisato cuscino. I brani successivi non hanno risultati migliori. I Greci hanno distrutto Troia, l’hanno saccheggiata e le hanno dato fuoco. Il troiano Enea fugge con suo padre in spalla e suo figlio per mano, salpa con un gruppo di suoi concittadini superstiti. Enea riesce a superare molte prove, ma non l’indifferenza di Carolina, che continua a sonnecchiare con rare accezioni.<div>Una volta, ad esempio, Carolina è stranamente seduta composta, apparentemente attenta, ma intanto mangia popcorn. Le faccio notare che l’Eneide sarà anche bella come un film, ma non siamo al cinema. Mi fissa flemmatica: mette il pacchetto aperto sotto il banco e continua a mangiare di nascosto un paio di popcorn alla volta, appena distolgo lo sguardo. Quando finisco di leggere l’Eneide, racconto cosa accadrà dopo: i discendenti di Enea fonderanno Roma; dalla distruzione nascerà nuova vita, una storia inattesa. Ma Carolina intanto è già tornata a dormire.
Qualche giorno dopo assegno un tema alla classe. Provo a uscire un po’ dagli schemi, tento di provocare gli studenti. Chiedo loro di scrivere un elaborato con questo titolo: «Come l’Eneide ha parlato alla tua vita?».</div><div>Vedo alcune facce perplesse, provo a spiegarmi meglio: «La letteratura è sempre uno specchio. I classici sono immortali perché in essi possiamo trovare almeno un frammento della nostra vita. In quale frammento dell’Eneide vi siete rivisti?». I ragazzi cominciano a scrivere. </div><div>Carolina parte a razzo, è la prima consegnare. In un’ora buca mi metto in un angolo del grande tavolo della sala prof e comincio a correggere. Cerco apposta il tema di Carolina: sono curioso di leggere ciò che ha scritto, dopo aver dormito per tutta la lettura. </div><div>Il testo inizia così: «L’Eneide è il libro più bello che abbia mai letto». Sospiro: mi sta provocando una volta di più. Vado avanti: «Io Enea lo conosco di persona. Lo vedo tutti i giorni». «Ecco », penso tra me e me, «vedi l’effetto del consumo di cannabis di prima mattina? Entri a scuola sempre in ritardo e, al posto di vedere i compagni e i prof, ti sembra di vedere Enea». </div><div>Preparo la penna rossa per scriverle una nota sotto il tema: basta prese in giro! </div><div>Proseguo la lettura: «Lo conosco bene Enea, perché Enea è mia mamma». Mi viene quasi da ridere, non fosse per il fastidio. Poi leggo la frase dopo. E quella dopo ancora. Finisco il tema di Carolina senza fiato. Mi ritrovo a piangere come una fontana. Una collega mi affianca, mi chiede se va tutto bene. Le indico il tema. Lo legge, piange anche lei. </div><div>Questo è il tema di Carolina:</div><div>«L’Eneide è il libro più bello che abbia mai letto. Io Enea lo conosco di persona. Lo vedo tutti i giorni.</div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjoYAMTekLGfd1wC_KBw4oAldhdjnd52iYgx5xzugWQrlD3_NIoA8IuPvpZgfjArzirfpJfYzDQB23LAxl7ZKfZOclHDl7YPbFRcFwX2pax_EvP0q0RSd7cQqIrU3oNE2neDQE16GX6jjp_APqEdNaD-isS7lk1dAhR0L7oBSpkHJflmPisB8IsXpi3hb4/s764/fuga-di-enea_FotoSketcher.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="764" data-original-width="619" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjoYAMTekLGfd1wC_KBw4oAldhdjnd52iYgx5xzugWQrlD3_NIoA8IuPvpZgfjArzirfpJfYzDQB23LAxl7ZKfZOclHDl7YPbFRcFwX2pax_EvP0q0RSd7cQqIrU3oNE2neDQE16GX6jjp_APqEdNaD-isS7lk1dAhR0L7oBSpkHJflmPisB8IsXpi3hb4/s320/fuga-di-enea_FotoSketcher.jpg" width="259" /></a></div>Lo conosco bene Enea, perché Enea è mia mamma. Mio padre è alcolista. Con il suo vizio, ha distrutto la mia famiglia, la mia spensieratezza, la mia infanzia e quella di mio fratello, proprio come i Greci hanno distrutto Troia. Ma, come Enea ha preso per mano suo figlio e l’ha portato verso un futuro diverso, lasciandosi alle spalle le macerie della sua città, così mia mamma ha preso per mano me e mio fratello, ci ha portati via dalle macerie di quella casa, ci ha regalato un futuro di nuovo possibile. Per questo mia mamma è il mio Enea. Il mio eroe. E, se un giorno diventerò madre, spero di essere una madre come lei ». </div></div><div>In un istante, la trasgressiva Carolina è diventata una maestra di vita. Mi ha ricordato che abbiamo tutti città distrutte alle spalle e futuri possibili davanti. Abbiamo tutti viaggi che ci aspettano, ripartenze necessarie. Mi sono chiesto, con dolore e con stupore, quante provocazioni degli adolescenti, che noi adulti vorremmo stroncare in nome della nostra presunta autorità, sono in realtà urla di dolore per ferite che non trovano voce. Quante volte tutti noi, adulti e ragazzi, ci barrichiamo dietro una finta durezza perché abbiamo paura di essere colpiti, di stare male? Quante volte chiudiamo le braccia per paura di essere pugnalati e perdiamo l’occasione di essere abbracciati? </div><div>Carolina è una persona meravigliosa, sensibile, empatica: adesso lo so, grazie a un tema. </div><div>Ripenso e auguro a me stesso e a tutti gli insegnanti, all’inizio di questo anno scolastico, di saper regalare ciò che ci appassiona a chi sta tra quei banchi; regalarlo, gratis, senza aspettarci niente, ma sempre col coraggio e con la speranza che spinge a guardare oltre, a quella città possibile da fondare oltre il mare. </div><div><br /></div><div><b>Marco Erba</b>, in <i><b>Avvenire</b></i> del 12/09/2023</div></div></div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-67165138595009618542023-09-13T06:30:00.002+02:002023-09-13T06:30:00.142+02:00Riprendiamo la scuola. Con grazia.Il titolo non è sbagliato. Grazia non è una persona, quindi il minuscolo ci sta. Anche se, vista la sua importanza, questa parola richiederebbe la maiuscola. Di cosa parlo?
Come è capitato altre volte, attingo da un professore e scrittore che mi offre sempre spunti di riflessione.<div><br />
<span style="background-color: #ffe599;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhExEl1I1x7JzoaTNemzuYDttvLl-iWLoAbRBfJnViwl-th4pRLLpQw1gf7_8Z51GLrwhFp2ExfjIeQ3WrRgoM-LgGpsOeQslKIvO2RgbKDYGJk94Bw1QOvKlXZ6d7DmrCbutV3a7-0iBf41Z2QJURcztW7N9vdEUvZRncRs2Q3YGsiKcdzI-JU2SKxUGo/s1000/ricominciare_Cartoonize%20Effect.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="666" data-original-width="1000" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhExEl1I1x7JzoaTNemzuYDttvLl-iWLoAbRBfJnViwl-th4pRLLpQw1gf7_8Z51GLrwhFp2ExfjIeQ3WrRgoM-LgGpsOeQslKIvO2RgbKDYGJk94Bw1QOvKlXZ6d7DmrCbutV3a7-0iBf41Z2QJURcztW7N9vdEUvZRncRs2Q3YGsiKcdzI-JU2SKxUGo/s320/ricominciare_Cartoonize%20Effect.jpg" width="320" /></a></div><br />La «ripresa» è ben diversa dalla «ripetizione»</span>: riprendere è continuare a compiere e non reiterare. <div>Il ripetere fa scivolare nelle sabbie mobili dell’inerzia, quando si va avanti con la sola energia che resta quando la creatività si esaurisce: il dovere, una prigione da cui si cerca poi di evadere in modi più o meno estrosi e disastrosi. Un lavoro, un matrimonio, uno sport... vissuti solo per dovere soffocano. E <span style="background-color: #ffe599;">dove non c’è più creazione di novità ma solo ripetizione, non c’è gioia.</span> Diverso è «riprendere»: si riprende un film che amiamo anche se lo abbiamo già visto, si riprende un tramonto anche se avevamo ammirato quello del giorno prima, si riprende un’amicizia quando si continua il discorso da dove lo si era lasciato settimane prima... <span style="background-color: #ffe599;">Ciò che si riprende non si ripete, è vivo, ciò che si ripete non si riprende, è morto</span>. E infatti «ripetente» è sinonimo di bocciato e «mi sono ripreso» di salute: facciamo una «ripresa» quando vogliamo immortalare qualcosa da non perdere. <span style="background-color: #ffe599;">Ma che cosa ci fa essere grati per ciò che ritorna senza che sia «ripetuto» ma «ripreso»?</span> </div><div><span style="background-color: #ffe599;">Gratitudine, grazioso, grazia, gratis vengono tutti da un’antica radice</span> che indicava <span style="background-color: #ffe599;">ciò che dà gioia</span>, qualcosa che riceviamo senza essercelo aspettato, e per questo interpretato come dono divino. </div><div><span style="background-color: #ffe599;">La grazia è questo:</span> un dono elargito senza averlo chiesto o meritato, ma che inaugura in noi un modo di essere più vero, compiuto, luminoso. Una luce che non proviene solo da situazioni positive. </div><div><span style="background-color: #ffe599;">Il dono a volte può costar caro, eppure ci rende più autentici, compiuti, belli.</span> La grazia non è un cosmetico che nasconde le rughe, ma le fa vedere piene di luce. La grazia è la chiamata a una bellezza compiuta, che riscatta anche le ferite.
Non dobbiamo confondere la grazia, il dono inatteso, con qualcosa di banalmente piacevole: <span style="background-color: #ffe599;">è grazia ciò che ci fa avanzare, in modo inaspettato, nel cammino irripetibile che solo noi possiamo fare, anche se si tratta di soffrire</span>. </div><div>Nel recente film Barbie, la donna di plastica, perfetta e senza difetti, è terrorizzata dal cambiamento: non conosce la grazia dell’essere umani, del crescere, del compiersi. In sostanza teme di soffrire, e invece <span style="background-color: #ffe599;">c’è grazia anche nel dolore, non per il dolore in sé, ma perché, a usarlo bene, contiene il passaggio (inteso sia come apertura, sia come aiuto per far strada più rapidamente) a una forma di vita più piena e bella</span>. L’aragosta quando deve crescere si nasconde, si spoglia della scorza rigida, rimane in carne viva fino a che non si forma una nuova corazza. È un momento di paura, nudità, dolore, ma necessario alla sua vitalità.
<span style="background-color: #ffe599;">Per riconoscere una grazia bisogna chiedersi se ci porta a diventare più veri, belli e compiuti.</span> </div><div>Dovremmo imparare a tenere gli occhi sempre ben aperti per saper ricevere le nostre grazie quotidiane, come afferma senza mezzi termini Cormac McCarthy nel suo ultimo romanzo, Il passeggero: <span style="background-color: #ffe599;">«<i>Nasciamo tutti dotati della facoltà di vedere il miracoloso. Non vederlo è una scelta</i>»</span>. </div><div><br /></div><div><b>Liberamente adattato da Ultimo banco, rubrica di Alessandro D'Avenia</b> in <b><i>Corriere della Sera</i></b>, 11 settembre 2023 (vedi testo completo cliccando <a href="https://www.corriere.it/alessandro-d-avenia-ultimo-banco/23_settembre_11/169-graziato-0d2d9aa8-4fd9-11ee-bf2a-fe4dfcd6f834.shtml?refresh_ce" target="_blank">qui</a>) </div></div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-27718878459567857962023-08-05T06:30:00.001+02:002023-08-05T06:30:00.137+02:00Il gran lavoratore e il pozzoSi narra di un uomo conosciuto come un gran lavoratore. Il suo senso del dovere, la sua capacità di sopportare il pesante lavoro, la sua perseveranza nelle difficoltà, ne avevano fatto una leggenda, tanto che il governatore del paese in cui l'uomo abitava, lo additava a tutti come esempio di efficienza e produttività.
L'uomo era proprietario di un grande campo, che grazie al suo zelo divenne molto fertile, nonostante in esso mancasse l'acqua per irrigare. Nel campo non vi era un pozzo e la sorgente più vicina si trovana piuttosto lontana, così la maggior parte del lavoro quotidiano consisteva nel procurarsi l'acqua.<div> <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwCvgISpVjtp6b16vn0JqYtMlSS5ma62gZTOCB3izcNUqFOa3625zuS4JgNVKkrVFo03d_bWohueWpbJNnWRAly_XijvXaRJ51YJx_FGWwOdkEjTDMZgbTkf8DpTbsTIi43KxuwWP25r01ss6ZZ3ipBBwqNkHrKcYZqUjeajxGmq6jpm5LxiEL4Mt2RTU/s525/portaacqua_FotoSketcher.jpg" style="clear: left; display: inline; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img alt="" border="0" data-original-height="476" data-original-width="525" height="216" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwCvgISpVjtp6b16vn0JqYtMlSS5ma62gZTOCB3izcNUqFOa3625zuS4JgNVKkrVFo03d_bWohueWpbJNnWRAly_XijvXaRJ51YJx_FGWwOdkEjTDMZgbTkf8DpTbsTIi43KxuwWP25r01ss6ZZ3ipBBwqNkHrKcYZqUjeajxGmq6jpm5LxiEL4Mt2RTU/w239-h216/portaacqua_FotoSketcher.jpg" width="239" /></a></div>
Ogni mattino, al sorgere del sole, questo uomo infaticabile si incamminva verso la sorgente con le sue taniche e, andando avanti e indietro tutta la giornata, riusciva a portare nel suo campo l'acqua sufficiente soltanto al tramonto.
Certamente egli riusciva a far fruttare il suo campo, ma si trattava di una situazione davvero pesante da sopportare, perché quasi tutta la sua giornata era impiegata solo per procurarsi l'acqua.
Gli amici che lo incontravano non riuscivano mai a instaurare un dialogo con lui, non solo perché egli non aveva mai tempo, ma anche perché il suo volto era sempre triste e abbattuto.
Un giorno, accorgendosi di essere giunto quasi allo stremo delle forze, consigliato dagli amici decise di scavare un pozzo nel suo campo; dopo mesi di fatica, l'uomo riuscì a terminarlo, ricavandone tanta acqua preziosa. Da quel giorno nessuno lo vide più andare avanti e indietro; anzi, lo si vedeva seduto accanto al pozzo con il volto radioso e sereno, circondato dai suoi amici con i quali dialogava felice, mentre essi guardavano a quella risorsa d'acqua.
<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-O1LQzLLYO2cTtOf82ZyaUmUHFlXME56vA4hW0EQ5cdLCwz_0wxe8jnA16nfSz-I23epS4jn6OQuxGtzJB_7Vj-WSateT2d70wkp4v5W7GAZ5XhpVOgYgViwNi4CaKWCfQVjeaZxIfXNW_QzQ9z1t4R2kXX3S1mKY-ziafoA6jK2o64Ji312HApG4xow/s1024/seduteadunpozzo.png" style="display: block; margin-left: 1em; margin-right: 1em; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="1024" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-O1LQzLLYO2cTtOf82ZyaUmUHFlXME56vA4hW0EQ5cdLCwz_0wxe8jnA16nfSz-I23epS4jn6OQuxGtzJB_7Vj-WSateT2d70wkp4v5W7GAZ5XhpVOgYgViwNi4CaKWCfQVjeaZxIfXNW_QzQ9z1t4R2kXX3S1mKY-ziafoA6jK2o64Ji312HApG4xow/w200-h200/seduteadunpozzo.png" width="200" /></a></div>
Un vicino, incuriosito, una mattina si avvicinò all'uomo e gli chiese informazioni a riguardo del pozzo e di quella insolita gioia di vivere attorno ad esso. Il buon lavoratore rispose senza esitare:
«Ho scavato un pozzo profondo e, con mia grande sorpresa, ho trovato un uomo!».<div class="separator" style="clear: both;">A questa risposta il vicino rimase confuso e intimorito: non osò guardare nel pozzo, ma corse a riferire alle persone del villaggio più vicino quanto aveva appreso, così che tutti, in breve tempo, incominciarono a trarre le più disparate conclusioni a riguardo di questa strana vicenda.</div><div>Tutti dicevano: «Chi sarà mai quell'uomo ritrovato in fondo al pozzo?». Anche al governatore giunse la notizia, così mandò dei suoi subalterni dal gran lavoratore per avere più informazioni su quanto ormai tutti narravano di lui.</div><div>Quando egli li ebbe ascoltati, rispose così alle loro domande: «Sino a poco tempo fa passavo tutte le mie giornate camminando avanti e indoetro per portare l'acqua nel mio campo. Ma ora ho capito:<i> chi troppo lavora non ha tempo per essere uomo!</i> Tutto il mio tempo era solo per il lavoro. Il mio campo viveva grazie a me, ma io, come uomo, avevo smesso di vivere. Oggi che ho un pozzo tutto mio, <i>ho ritrovato me stesso, ho riiniziato a vivere, ho trovato l'uomo che sono chiamato ad essere</i>. Ho scavato un pozzo, ma <i>ritrovando me stesso ho capito che il tempo ci è donato per vivere; e anche ho capito che la vita non ci è stata donata per riempire il tempo ma per ritrovare noi stessi nello scorrere del tempo!</i></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEga-AS8rpTcuJTDcN6S6Lpcwq6iDQGcGmZvg7NFrJQ2aovJHTPp2ya9rF3cdzyJmuIr6xSeXiUrhQZLaU_Z7nthNV7dGgBjN03dVDcqvo_7vNvEcx11rLluxnBP84J9lDiTKBanmOj8Vd7E80jgBskkEXelYkAu4PaKxQFQm0jG_P_sIroluxVtyBuk6BY/s180/sorrisouomo2.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="180" data-original-width="179" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEga-AS8rpTcuJTDcN6S6Lpcwq6iDQGcGmZvg7NFrJQ2aovJHTPp2ya9rF3cdzyJmuIr6xSeXiUrhQZLaU_Z7nthNV7dGgBjN03dVDcqvo_7vNvEcx11rLluxnBP84J9lDiTKBanmOj8Vd7E80jgBskkEXelYkAu4PaKxQFQm0jG_P_sIroluxVtyBuk6BY/s1600/sorrisouomo2.png" width="179" /></a></div><b>Tratto da: </b></div><div>D. Cogoni, <i>Nella comunione della Santa Trinità</i>, Cittadella Editrice 2023, pp. 13-15<br /><i><br /></i><div class="separator" style="clear: both;"><br /></div>
</div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-61189328373784086672023-08-04T06:30:00.001+02:002023-08-04T06:30:00.158+02:00Chi si prende cura di me?<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSX7DDhwwPlL_eJa3KdfFBLA5GdCvcwPxZs3bR1sky7cHoxrosUqsYm4CEEiNy3BWoKpBJw32aUZovrZBMT9GoKgwMJ-nPrEK3o52bkdRMC-BHo3w3fE9e6HsOmlpGTB7k0qTRznLdmRQTJmWXxR83fbMySBheSMmi9_GvB4ouI9Hx23KZBBWctkYhC7c/s439/prendersicura.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="403" data-original-width="439" height="294" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSX7DDhwwPlL_eJa3KdfFBLA5GdCvcwPxZs3bR1sky7cHoxrosUqsYm4CEEiNy3BWoKpBJw32aUZovrZBMT9GoKgwMJ-nPrEK3o52bkdRMC-BHo3w3fE9e6HsOmlpGTB7k0qTRznLdmRQTJmWXxR83fbMySBheSMmi9_GvB4ouI9Hx23KZBBWctkYhC7c/s320/prendersicura.png" width="320" /></a></div><br />Quando Franco Battiato canta La cura [...] si rivolge innanzitutto alla<span style="background-color: #fff2cc;"> propria anima, da anemos,</span> vento, il <span style="background-color: #fff2cc;">soffio che rende «viventi» tutti gli esseri «animati»</span>, ma che in noi uomini è qualcosa di più. <div><span style="background-color: #fff2cc;">A noi non basta essere viventi, noi vogliamo essere vivi</span>.<div>Se i viventi hanno il fiato, <span style="background-color: #fff2cc;">noi abbiamo il respiro, che è quel di più</span>: in italiano è lo spirito o spiro, da cui vengono parole come respiro, ispirazione, spirare... che racchiudono il senso della <span style="background-color: #fff2cc;">vita «animata» e non solo «animale»</span>. Ma mentre negli animali accade, noi possiamo aumentare questo soffio, tanto da riuscire, come dice il cantautore siciliano, a non soccombere a: paure, turbamenti, ingiustizie, inganni, fallimenti, dolori, sbalzi d’umore, ossessioni, malattie. </div><div><span style="background-color: #fff2cc;"><br /></span></div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Ma qual è il segreto di questa cura di sé? </span></div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Che cosa ci guarisce veramente dalla paura del nulla, dal vuoto di senso che cerchiamo di riempire senza riuscirci? </span></div><div>[...] Chi può farmi sentire e dire «Amato sulla Terra», quasi fosse il mio vero nome? Può riuscirci un uomo o una donna? Posso riuscirci io? O ci vuole un’altra Cura? </div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Non è moralismo
La Cura è l’origine dell’umano nell’uomo</span>. </div><div><br /></div><div>Lo racconta un mito creato da Platone. Quando il dio Chronos (Tempo) che pro-curava tutto ai viventi dovette ritirarsi dalla vicenda umana a causa dell’inversione del corso del cosmo, gli uomini furono lasciati a se stessi e dovettero «prendersi cura di sé da se stessi». </div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Quando viene affidato a ciascuno (</span><span style="background-color: white;">non siamo più del Tempo ma abbiamo del tempo</span><span style="background-color: #fff2cc;">) il tempo umano prende il nome di cura. </span></div><div><span style="background-color: #fff2cc;"><br /></span></div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Nella narrazione cristiana addirittura l’Eterno si fa Tempo (carne) e si affida alle cure di una madre, di un padre e di un villaggio:</span> anche Dio se entra nella storia umana ha bisogno di cura, e poi diventerà lui stesso uno che cura. </div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Essere «di» e «a» tempo significa «essere per la cura».</span> </div><div>Non è un moralismo ma il modo umano di diventare vivi: <span style="background-color: #fff2cc;">noi non ci prendiamo cura degli altri perché li amiamo, bensì impariamo ad amarli se ci prendiamo cura di loro</span>. </div><div>[...]<span style="background-color: #fff2cc;">L’amore allora non è qualcosa di spontaneo o naturale, un sostantivo, ma un impegno </span>per rendere la vita dell’altro più compiuta, un verbo. E non lo faccio per filantropia, ma perché <span style="background-color: #fff2cc;">mi conviene: chi cura si cura, che è come dire chi dà tempo riceve tempo. </span></div><div><br /></div><div>Non è un caso che il <span style="background-color: #fff2cc;">tatto, senso della cura, sia l’unico il cui mezzo è il senso stesso:</span> la vista vuole la luce, il suono lo spazio, <span style="background-color: #fff2cc;">il tatto ha bisogno del... tatto</span>. <span style="background-color: #fff2cc;">Io toccando sono toccato, curando sono curato</span>. Avere «tatto» (cura) per la carne del mondo, dà origine all’amore di cui abbiamo bisogno per poterci dire Ama(n)ti sulla Terra. E <span style="background-color: #fff2cc;">la cura è il dono del tempo limitato che ho, io sono tempo fatto carne: curare è dare la carne, tras-curare è toglierla.</span> </div><div>[...] <span style="background-color: #fff2cc;">L’inferno più profondo è fatto di uomini che mangiano altri uomini e il Satana di Dante ha tre bocche con cui divora costantemente tre dannati.</span> </div><div><br /></div><div>Noi, tempo finito che attraverso la cura diventa amore, <span style="background-color: #fff2cc;">spesso preferiamo pro-curarci il tempo togliendolo agli altri,</span> «mangiandoli»: usandoli, manipolandoli, distruggendoli, crediamo di «assimilare», come con il cibo, il tempo che ci manca. </div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Per la fame di tempo ci sono due possibilità: la cura, sfamare, o il potere, sfamarsi e affamare. Però il potere dà solo l’illusione di aumentare il tempo, perché tempo e potere appartengono a piani di realtà che non si toccano</span>: il potere fa sentire di avere presa sulla vita ma in realtà non le aggiunge un secondo.
Evoluti ma cannibali.</div><div><span style="background-color: #fff2cc;"><br /></span></div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Sullo stesso piano del tempo - il mito platonico e il racconto evangelico lo mostrano - c’è invece la cura</span> che, <span style="background-color: #fff2cc;">diventando amore, rende il tempo talmente pieno di senso che non si teme più di non averne abbastanza</span>. Quando mi prendo cura della mia amata io sento di trasformarmi: il tempo suo e mio aumenta e non mi può essere più tolto, anche se apparentemente mi sembra di averlo «perso». </div><div>È il paradosso evangelico: «Chi dà la sua vita la trova, chi la trattiene la perde». </div><div><br /></div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Ma dove trarrò le energie per curare senza sfinirmi?</span> E poi chi si prende cura di me senza stancarsi? Non la Natura, ignara di me, ma i<span style="background-color: #fff2cc;">l Dio a cui abbiamo rinunciato, finendo con il divorarci in proporzioni mai viste nell’ultimo secolo: noi, i più evoluti e progrediti, siamo diventati anche i cannibali peggiori nella storia</span>. Dostoevskij lo aveva detto: «senza Dio tutto è possibile», perché senza essere curati non si sa come sfamarsi. </div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Abbiamo rinunciato al Soffio che Cura ogni cosa</span>. </div><div>All’inizio di Genesi, prima che cominci la creazione, si dice che «lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque», e il verbo significa letteralmente «covare», e le acque, non ancora create, sono un modo di dire «caos». Questo Respiro «cova» ogni cosa, se ne prende cura perché diventi se stessa. </div><div>È solo una favola consolatoria o c’è qualcosa di vero? Bisogna farne esperienza, questa per me è l’unica via, anche perché tutte le altre, dettate dalla fame, non funzionano: successo, soldi, potere hanno sempre «respiro corto» e portano con sé «affanno». <span style="background-color: #fff2cc;">O troviamo ogni giorno il tempo per lasciarci covare (curare), cioè per ricevere questo Soffio infinito, o saremo i morti viventi </span>che non a caso popolano film, serie, videogiochi e romanzi. </div><div><br /></div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Senza cura la vita non ha senso, </span>perché moriamo di fame (di tempo) e sopravvive solo il più forte, cioè chi mangia di più. <span style="background-color: #fff2cc;">Ma io non sopravvivo divorando gli altri, ma perché c’è un Soffio Curatore che mi ha voluto speciale: unico e irripetibile. </span>E altrettanto unica e irripetibile voglio che sia la mia risposta, voglio sorprendere persino Dio, come un giardiniere si sorprende del fiore che sboccia anche se è lui stesso ad averlo piantato. </div><div>Ognuno di noi è chiamato a creare, con e per gli altri, ciò che solo lui può essere e fare, come mi diceva qualche giorno fa un’amica che si prendeva cura del suo bambino di dieci giorni, vincendo le leggi del tempo: «Ora c’è e ci sarà per sempre».
Il caos diventa Giardino. </div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Solo l’imprevedibile collaborazione con il Soffio (viene da dire che la vita è una co-spirazione per fare altra vita, la co-munità nasce da questo, vuol dire infatti dono, munus, comune), cioè nella Cura, dà respiro al mondo.</span> Io, così limitato, desidero respirare il Respiro che cova il caos e lo rende vita, perché è Amore-Cura che trasforma me in Cura-Amore. </div><div><br /></div><div><span style="background-color: #fff2cc;">Attraverso di me, di noi, uniti in questo respiro, un pezzettino di caos</span> (una classe, il bianco di una pagina, la paura della mia amata, il dolore di un amico) <span style="background-color: #fff2cc;">può diventare Giardino</span> <span style="background-color: #fff2cc;">e il tempo moltiplicarsi come i semi nel frutto</span>: in ogni ghianda c’è un bosco intero. Solo così mi sento Amato sulla Terra e Amante della Terra. E anche se, come nella canzone di Battisti, «l’universo trova spazio dentro me» però «il coraggio di vivere quello ancora non c’è». </div><div>Questo coraggio non è una magia, ma la <span style="background-color: #fff2cc;">Cura: una libera scelta di come vivere perché il mondo possa «venire al mondo»</span>. [...] <span style="background-color: #fff2cc;">La cura fa fiorire il deserto e crea un mondo inatteso</span>, sorprendente, vivo, bello.</div><div><br /></div><div><span style="background-color: #fff2cc;">O si divora o si cura: a ognuno di noi è chiesto di scegliere da che parte stare</span>, non ci sono vie di mezzo per «respirare» e «far respirare» questo mondo. </div><div>E per<span style="background-color: #fff2cc;"> poter dire, alla fine: nulla è andato sprecato, tutto il tempo che avevo si è trasformato in amore.</span></div></div><div><span style="background-color: white;"><br /></span></div><div><span style="background-color: white;"><b>Tratto da </b></span></div><div>Alessandro D’Avenia in <span style="font-size: x-small;">Corriere della Sera, Buone Notizie, 10/01/2023</span></div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-6995933397845922672023-08-03T11:23:00.004+02:002023-08-03T11:23:32.717+02:00RIEPILOGO DI UN ANNO CON LE CLASSI TERZEE' la volta delle classi terze.
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="600" marginheight="0" marginwidth="0" src="https://profrel60.netboard.me/fcq6c4jvjd/?embed=true" width="100%"></iframe>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-57001147772609245602023-07-17T09:31:00.005+02:002023-07-17T09:44:36.404+02:00RIEPILOGO DI UN ANNO CON LE CLASSI SECONDEEcco quanto è stato svolto con le classi seconde.
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="600" marginheight="0" marginwidth="0" src="https://profrel60.netboard.me/iwx87t4u7b/?embed=true" width="100%"></iframe>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-29988180548551902322023-07-07T17:36:00.003+02:002023-07-23T10:58:18.006+02:00RIEPILOGO DI UN ANNO CON LE CLASSI PRIME<p> Pian pianino recupererò quanto ho svolto con le classi della scuola media. Inizio con le classi prime 😉. Se ci dovessero essere problemi per visualizzare la pagina, cliccare <a href="https://profrel60.netboard.me/streamclassipri/?link=sGwTa72w-dIfXcSdJ-JOFZNPtN" target="_blank">qui</a>.
</p><p><br /></p>
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="600" marginheight="0" marginwidth="0" src="https://profrel60.netboard.me/streamclassipri/?embed=true" width="100%"></iframe>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-74036456912961238572023-01-13T06:30:00.001+01:002023-01-13T06:30:00.174+01:00Prima che il nuovo anno arrivasse: lettera ad una nipotina (e non solo)Di <b>Elisa Manna</b> in <b>Avvenire</b> del 1 dicembre 2022 <div><br /></div><div>Finalmente stai arrivando. Ed è una cosa “cosmica”: un momento che ha a che fare più con l’imponenza distante delle galassie che con i piccoli affanni e gioie quotidiane. Uno squarcio su un’altra dimensione così misteriosa, possente e altra da noi, eppure così vicina che possiamo sfiorarla. Un momento in cui sentirsi apparentati alle stelle. </div><div>Tra poco una Forza vitale sconosciuta comincerà a dirigere gli eventi come un direttore d’orchestra e in poco tempo sarai stordita dalla luce e dai suoni , voci rivolte a te che ti accolgono, stanche e felici.
Carissima Vittoria ti scrivo ora, perché poi i miei pensieri saranno certamente diversi e meno lucidi. Sei stata davvero una grande viaggiatrice e hai saputo percorrere tutte le tue tappe con tranquillità. Ma chissà se all’arrivo ci sono state solo stanchezza e fatica o anche qualcos’altro, magari la nostalgia della piccola casa accogliente che conoscevi... </div><div>Sai, il mondo che ti aspetta qui non è come te, tutta nuova: è un mondo vecchio che ha fatto già tanti sbagli. Si è ammalato, ormai ha la febbre e chissà se riusciranno a fargliela scendere. Era un paradiso terrestre, c’erano acque fresche e limpide e immensi ghiacciai ne custodivano il segreto vitale, candidi e purissimi. Il terreno era generoso e produceva delizie dal sapore oggi dimenticato, quando respiravi sentivi che la vita ti entrava nei polmoni, ogni giorno affrontavi il tuo percorso con animo forte e sereno, rassicurato da molte certezze. Le estati erano una festa per il cuore e per il corpo, un sole splendente che accarezzava la pelle e la confortava, donandole un caldo colore ambrato, mentre una lieve brezza la rinfrescava. </div><div>È vero, questa manna sparsa a piene mani non era per tutti ed esistevano tanti sfortunati anche in passato: ma il divario tra quelli che stanno bene e quelli che vivono negli stenti non era così ingiusto, odioso come adesso in cui imperatori del denaro non riescono più a immaginare come soddisfare nuovi capricci (un volo nello spazio per regalo di compleanno?) mentre folle immense di diseredati cercano di scampare alla fiamma di un sole diventato nemico nella loro terra, alla siccità senza scampo, alla fame, alle guerre. </div><div>Il Signore ci ha donato tutto per puro amore senza volere niente in cambio, e noi siamo stati capaci di rovinare quasi tutto e quasi irrimediabilmente.
Sai, siamo stati perfino capaci di inventarci divinità che vogliono che ci armiamo e ci uccidiamo l’uno con l’altro come se l’unico Dio che ha senso per noi non fosse l’Amore Assoluto. Ma non ti voglio rattristare con questi discorsi sul passato, io che sono la mamma della tua mamma, e debbo e voglio più di altri infonderti coraggio.</div><div>La vita che ti attende potrà essere veramente meravigliosa, malgrado la realtà concretissima dei problemi di cui ti ho parlato. Questo non è un pianeta sbagliato per venire al mondo, anzi; qui stiamo facendo anche progressi scientifici e tecnologici incredibili, e se non perderemo definitivamente la testa, ci aiuteranno a curare malattie, allungare la vita, contrastare la fame, assicurare giustizia sociale, rendere obsolete e inutili le guerre. </div><div>E poi, qui ti aspettano tua mamma e tuo papà, una culla d’amore, e tanti (i nonni, gli amici) che vogliono proteggerti e accompagnare, sorridendoti, il tuo cammino: un mondo che somiglia a quel paradiso terrestre di cui ti parlavo prima. Solo, più piccolo. Questo immenso vantaggio che la vita ti darà forse basterà a sé stesso. O forse, in virtù di quella “misteriosa e divina logica di restituzione” che a volte abita il cuore degli uomini, ti spingerà a guardarti attorno. Ed è di questo, in effetti, che ti volevo parlare dall’inizio.</div><div>Ti auguro di essere felice per tutta la vita, certo. Ma ti auguro anche altro: per esempio di essere una persona compassionevole. Noi umani “brilliamo” solo se interagiamo con gli altri, da soli siamo un piccolo faro spento. E poi ti auguro di essere una persona mai chiusa nei confini limitati del proprio io, ma aperta a “sentire” e ad accogliere gli altri. </div><div>Ti auguro di essere vera, sincera sempre, almeno con te stessa. Conoscere sé stessi è il grande segreto di un animo pacificato. Sii libera, rispetta te stessa e tutti, la tua dignità non ha prezzo. Non inseguire l’eccitazione della gioia a tutti i costi; a volte abbiamo bisogno anche di avversità per crescere... </div><div>Ti auguro di amare l’ossigeno di alta montagna, lo iodio frizzante del mare: fa che i tuoi pensieri siano attraversati dal vento che fa gonfiare le distese di grano dorato. </div><div>Accendi i tuoi talenti, “alza le vele” come esortava il tuo bisnonno Gennaro che del faro del cristianesimo ha fatto la costante ispirazione per i suoi romanzi; fa che i tuoi talenti risplendano e sappiano trovare nuove soluzioni e mai solo per te stessa. Troverai le tue strade, Vittoria Luce. Lasciati guidare dal nome che tua madre ha voluto darti, non accontentarti. </div><div>E tutti voi, nuovi nati che arrivate, non lasciatevi intimorire dalla complessità di quest’epoca nuova, crescete sereni, poi “prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro”, come diceva Giovanni Paolo II. Almeno, provateci. Sappiate che la vita sarà fantastica se in tanti saprete sfuggire alla trappola dell’egoismo e costruirete insieme un dialogo vivo e intenso, generativo di una nuova civiltà in cui ognuno abbia cibo, dignità e rispetto. </div><div>E, soprattutto, siate contadini e coltivate la speranza.</div><div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoC_OsybkEHtlGPi9vjkGUPZDYww_ye0I2KEBiuQlWyMX3ePyD6fMnnTBb8KwED4SLR_p8TZx02NWcg0lQJcdI-tNQIS6PnLykDJX5E84V5pEs_JLm__02JX5hm6jXqQaJae4NK2J_b_-fEHiw2MJSMBoZg3_NDLja4zLwxgsAaaT9GIJybyVCLmUg/s350/cuore2_FotoSketcher.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="350" data-original-width="262" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoC_OsybkEHtlGPi9vjkGUPZDYww_ye0I2KEBiuQlWyMX3ePyD6fMnnTBb8KwED4SLR_p8TZx02NWcg0lQJcdI-tNQIS6PnLykDJX5E84V5pEs_JLm__02JX5hm6jXqQaJae4NK2J_b_-fEHiw2MJSMBoZg3_NDLja4zLwxgsAaaT9GIJybyVCLmUg/s320/cuore2_FotoSketcher.jpg" width="240" /></a></div><br /></div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-76382708487813286382023-01-11T06:30:00.001+01:002023-01-11T06:30:00.170+01:00Trans-umanismoParola strana che è invece il caso di comprendere perché, come dice Albert Cortina, un'autorità in merito a questa tematica, «<i>Mi sembra che ci troviamo in un momento cruciale, in cui il transumanismo sta per compiere il grande balzo: ancora non è forte e radicato, ma potrebbe diventare un’ideologia diffusa. Desidero che la si guardi bene in faccia e si consideri in che modo la cultura cristiana possa porsi di fronte a essa</i>». <div>Riprendo l'intervista di <b>L. Servadio</b> pubblicata su <b>Avvenire</b> del 10 dicembre 2022. </div><div><br /></div><div><b>In che modo si diffonde? </b></div><div>
Per esempio <span style="background-color: #fcff01;">nei videogiochi</span> che presentano cyborg, cioè esseri umani con parti cibernetiche che ne aumentano la potenza fisica o mentale. In <span style="background-color: #fcff01;">certe espressioni artistiche</span>, che privilegiano una visione postumana e cercano di sperimentare col corpo umano, facendone un oggetto plasmabile: si comincia coi tatuaggi e i piercing per arrivare a impiantare microchip per aumentare le proprie prestazioni. O nella<span style="background-color: #fcff01;"> tendenza ad allungare artificialmente la vita,</span> magari trasfondendola in una memoria elettronica o con manipolazioni genetiche. </div><div>Beninteso, vi sono tanti aspetti positivi nel modo in cui la tecnologia può migliorare la vita e sopperire a problemi fisici, per esempio permettendo di camminare anche a chi ha perso le gambe. La <span style="background-color: #fcff01;">questione è apprezzare i limiti, evitare di assolutizzare, scongiurare l’ipotesi che l’essere umano divenga un robot bionico</span>, cosa verso cui invece tendono alcuni sviluppi delle biotecnologie e delle nanotecnologie. </div><div><br /></div><div><b>Sono tecnologie che consentono
anche il controllo della popolazione. </b></div><div>
Già si constata in Cina, con l’uso di sistemi informatici per classificare e controllare le persone nei loro movimenti, così come nel limitare il diritto di accedere a certe prestazioni in funzione del punteggio assegnato a ciascuno dal potere centrale. </div><div><br /></div><div><b>La logica del metaverso va in questa stessa direzione?</b></div><div>
Il <span style="background-color: #fcff01;">metaverso crea un mondo parallelo</span>, nasce come gioco e può assorbire a tal punto la vita delle persone che queste finiscono per non avere più relazioni reali con altri esseri umani. <span style="background-color: #fcff01;">Questa vita fittizia è come una grande fantasia in cui ognuno può inventarsi le proprie regole, come se la realtà non esistesse più</span>. Un mondo dove avvengono guerre ma senza conseguenze, non ci si fa male: il male consiste nel lasciare che quel mondo ti assorba sempre di più, trasportandoti via dal mondo reale. E certo, anche qui, chi lo controlla finirà per influenzare chi ne usa. </div><div><br /></div><div><b>Una nuova utopia.</b> </div><div>Qualcosa che <span style="background-color: #fcff01;">si insinua ovunque</span> grazie ai suoi aspetti positivi: sono tecnologie che possono aiutare a migliorare la vita. Ma, ancora, <span style="background-color: #fcff01;">se assolutizzate queste stesse tecnologie scatenano desideri illimitati</span>. [...]</div><div><b><br /></b></div><div><b>Qualcosa che la cultura cristiana non può accettare.</b> </div><div>Fino a due secoli fa in Europa tutto si spiegava alla luce della fede. Poi s’è diffuso il verbo della tecnologia – con tutti i suoi pregi beninteso, ma anche coi suoi limiti che con chiarezza constatiamo nell’inquinamento diffuso per esempio.
<span style="background-color: #fcff01;">Con l’ideologia transumani-sta ci troviamo di fronte a una possibile nuova tecnoreligione</span>: la religione della tecnica, fondata sul dogma che la tecnologia sia onnipotente. Che la superintelligenza alla quale si può giungere con i sistemi computerizzati possa tutto conoscere e tutto creare. Che il controllo dei dati possa offrire il controllo totale della biosfera e della vita umana. E che la capacità di distinguere il bene dal male non derivi da una scelta morale in una visione trascendente, ma si misuri su nuove possibilità illimitate derivanti da conoscenze straordinarie acquisibili grazie agli algoritmi. L’algoritmo diventa l’espressione di un nuovo gnosticismo. </div><div><b><br /></b></div><div><b>Una cieca fede nel progresso? </b></div><div>
Il problema è che di queste tematiche non si parla a sufficienza. Ma pian piano si diffondono. Vi sono aziende che selezionano il personale sulla base di algoritmi. Programmatori e progettisti convinti che dalle nuove tecnologie non potrà che derivare un bene. La società civile e il mondo politico tendenzialmente ignorano tutto questo o lo accettano acriticamente. <span style="background-color: #fcff01;">È importante invece recuperare una visione critica.</span> Come ha scritto Paolo VI nella Populorum progressio (n. 20), «s<i>e il perseguimento dello sviluppo richiede un numero sempre più grande di tecnici, <span style="background-color: #fcff01;">esige ancor di più uomini di pensiero capaci di riflessione profonda</span>, votati alla ricerca d’un umanesimo nuovo, che <span style="background-color: #fcff01;">permetta all’uomo moderno di ritrovare se stesso</span>, assumendo i valori superiori d’amore, di amicizia, di preghiera e di contemplazione</i>».</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiivMukSgcvzYapaRVNp10pwP5lU_QWeVT_UXCj8Es4HE1RabifrTlkocbi5hm89a4KkllndQNgCYLL09ggiepLBORy72e6Pg8zxltmTivXl9becfGf5-b9iPchWaFuDY_Uw_vR1Oz7xVe4T3i3A7olvRiFYYEJ89sGWhswQhmDprh6Lw5LPmIgn9Gu/s2000/transuman.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2000" data-original-width="2000" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiivMukSgcvzYapaRVNp10pwP5lU_QWeVT_UXCj8Es4HE1RabifrTlkocbi5hm89a4KkllndQNgCYLL09ggiepLBORy72e6Pg8zxltmTivXl9becfGf5-b9iPchWaFuDY_Uw_vR1Oz7xVe4T3i3A7olvRiFYYEJ89sGWhswQhmDprh6Lw5LPmIgn9Gu/w180-h180/transuman.png" width="180" /></a></div><br /><div><br /></div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-43919784361958430252023-01-08T06:30:00.001+01:002023-01-08T06:30:00.172+01:00Tre parole da ripensare e ridire per il nuovo annoLo sappiamo anche noi, eppure ogni volta che inizia un anno nuovo speriamo tenacemente che accada qualcosa di migliore, che saremo capaci di liberarci dalla necessità del passato e mostrarci diversi, che nostro figlio sarà quella bellezza e quella pace che noi non siamo riusciti a diventare. <div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgs8M_CFjsDcXbn4zqBAXJ6sLiYgwz5ZtcccpsBjhqqMrn0qKCpjs_VtEbBk3rQNNUsj7givaeqF86qU81dmri6-FDvQGz2Co8lONgI3CE_TxkX_FvwsNL8sHFFB3fOHi42CGKPITkjIox9sO3DheGamzYcNR2JP7ZAPsZgjf_so1WKZlDN96mJ_QQb/s200/futuro.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="200" data-original-width="200" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgs8M_CFjsDcXbn4zqBAXJ6sLiYgwz5ZtcccpsBjhqqMrn0qKCpjs_VtEbBk3rQNNUsj7givaeqF86qU81dmri6-FDvQGz2Co8lONgI3CE_TxkX_FvwsNL8sHFFB3fOHi42CGKPITkjIox9sO3DheGamzYcNR2JP7ZAPsZgjf_so1WKZlDN96mJ_QQb/s1600/futuro.jpg" width="200" /></a></div>Da qui il senso degli auguri, di <i>bene- dire </i>il tempo che sta per iniziare, perché le parole buone pronunciate nel principio hanno una speciale capacità performativa, migliorano ciò che <i>bene- diciamo</i>, danno ali alle nostre promesse. </div><div>Pensando al nostro tempo di passaggio, la prima parola da dire diversamente è <b>povertà</b>. </div><div>La povertà è parte essenziale della condizione umana di tutti. L’Europa, grazie soprattutto a Cristo, aveva generato una civiltà che mentre lottava contro la miseria non disprezzava i poveri in carne e ossa, non li malediceva, perché Gesù li aveva chiamati “beati” e perché Francesco per l’”ignota ricchezza” della povertà aveva lasciato le altre ricchezze note. Da questo umanesimo sono nati gli ospedali, le scuole, i Monti di pietà, e poi lo Stato sociale, che non trattavano i poveri come maledetti ma solo come sventurati. </div><div>Oggi la prima povertà di cui soffrono i poveri è la mancanza di stima, è sentirsi considerati colpevoli, guardati solo come portatori di bisogni e non di talenti e virtù pur dentro le loro indigenze. Perché ci siamo dimenticati che a coloro che chiamiamo “poveri” manca molto ma non manca tutto – e la dignità si situa nella differenza tra il “tutto” e il “molto”, e lì dove si alimenta anche la reciprocità. </div><div>Poi c’è il <b>lavoro</b>. </div><div>Attorno al lavoro si sono sempre dette e scritte molte parole, non tutte buone e vere. Lo abbiamo scritto nell’incipit della nostra Costituzione, e abbiamo fatto bene. Ma non dobbiamo dimenticare cosa fosse nel dopoguerra veramente il lavoro in Italia e nel mondo.
Se a scrivere quell’articolo 1 non fossero stati professori, politici e giuristi ma lavoratori della terra, delle fabbriche, dei cantieri, le lavoratrici delle filande e delle risaie, difficilmente avrebbero fondato il nuovo patto sociale su quel loro lavoro concreto - il lavoro ha sempre sofferto per narrative scritte da non-lavoratori. Perché le parole dei lavoratori veri erano ‘“schiene incurvate”, “miseria e fame”, “padrone e servo”, “travaglio”.</div><div>Il lavoro è stato quasi sempre esperienza non troppo diversa dalla servitù, se si eccettuano poche élite di artisti, di artigiani e di professioni liberali. La Bibbia, espertissima di umanità prima di essere esperta di Dio, quando pensava al lavoro andava subito alla produzione forzata di mattoni in Egitto. E quando quegli uomini e donne scrissero « L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro» guardarono, profeticamente, al lavoro di domani. Guardarono negli occhi il lavoro del loro tempo e gli dissero: “Diventa quello che non sei ancora, lo puoi diventare”. E fu come una preghiera. </div><div>Oggi le profezie della Costituzione sono sempre più lontane, e torna minaccioso all’orizzonte l’ombra del lavoro per umiliare i deboli e i poveri, i mattoni d’Egitto cercano ogni giorno di riprendere il posto del lavoro degno e congruo.
L’articolo 1 è l’articolo dell’inizio, è il padre del mattino del giorno che non c’è ancora ma che deve arrivare. </div><div>Infine, <b>spiritualità</b>. </div><div>Siamo dentro una immensa carestia di spiritualità. </div>Abbiamo ottenuto risultati straordinari nel “foro esterno” della nostra civiltà – tecnica, economia, scienza –, ma nel “foro interno” siamo regrediti di secoli, se non di millenni. L’homo sapiens post-moderno è un analfabeta spirituale di ritorno.
È sempre più urgente che le Chiese e le religioni lascino i loro recinti e le loro “comfort zone” di consumo sacro e opere sociali e aiutino il mondo a ricostituire un nuovo capitale spirituale. Il capitale spirituale è la “casa” di tutti i capitali di una società: senza di esso tutti gli altri vagano nomadi, esposti a ogni pericolo.
C’è un bisogno urgente di una rivoluzione narrativa delle religioni e della spiritualità: è ora di mettersi a lavoro. <div><br /><div>Liberamente tratto da <b>L.Bruni</b>, <i>La rivoluzione è un'eredità</i>, in <b><i>Avvenire</i></b> del 3/01/2023
</div></div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-78631752677085144702023-01-02T06:30:00.001+01:002023-01-02T06:30:00.242+01:00ASCOLTARE LA VOCE SAPIENS<div>Una bella riflessione di D'Avenia sull'essere Homo. Tanti, tanti spunti per il lavoro in classe.</div><div><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://www.meteorologiaenred.com/wp-content/uploads/2021/10/homo-sapiens-desarrollo-1024x979.jpeg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="765" data-original-width="800" height="191" src="https://www.meteorologiaenred.com/wp-content/uploads/2021/10/homo-sapiens-desarrollo-1024x979.jpeg" width="200" /></a></div>Il genere Homo è apparso più di due milioni di anni fa in Africa e si è diffuso sul globo differenziandosi in specie. Il Sapiens è comparso in Africa non più di 300mila anni fa ed è poi migrato (tra i 100 e i 65mila anni fa) unendosi e scontrandosi con specie stanziate altrove, come il Neanderthal, in Eurasia, e il Denisova, in Asia sud orientale. <span style="background-color: #fcff01;">Ma che cosa ha permesso alla scienza di dire: qui compare un essere che possiamo chiamare Uomo? </span>La novità sta nel fatto che questo essere «sa» di essere: ha coscienza di sé e del mondo, come testimonia uno dei più antichi reperti, in una grotta argentina, una parete con delle mani dipinte, come dire: «Eccomi qui, sono io». E chi sei, tu? <div>La novità uomo, rispetto agli altri primati, è segnalata da alcuni fattori: tecnica, sepolture, accoppiamento frontale, linguaggio simbolico (arte). <span style="background-color: #fcff01;">L’uomo è uomo perché</span> ha e fa cultura, cioè tutto ciò che crea per umanizzare la vita, perché, a differenza dell’animale che ha già tutto scritto nel suo istinto, l’uomo diventa uomo. </div><div>Come? Risolve problemi con la tecnica non essendo dotato, come gli animali, di artigli, zanne, pelo... ma di ingegno; è capace di trascendenza (seppellisce i simili); si accoppia guardandosi negli occhi; si relaziona con le cose in modo non solo utilitaristico (non si limita a mangiare gli animali, ma li dipinge). Questo per quanto attiene al genere Uomo. </div><div><span style="background-color: #fcff01;">Ma perché, tra le specie di Uomo, il Sapiens è l’unica sopravvissuta?</span> Se il Neanderthal era più forte, organizzato e abile, perché si è estinto?
Molti studiosi rispondono dicendo che era timoroso e sedentario: non migrava e non osava attraversare il mare. Invece il Sapiens è andato ovunque: nel giro di qualche migliaio di anni dall’Africa lo troviamo in Australia! Era audace, se non folle. </div><div>Il <span style="background-color: #fcff01;">Sapiens è sopravvissuto perché, di fronte all’ignoto, rischiava</span>, un motivo contrario al buon senso: non si metteva al sicuro ma a rischio. </div><div><span style="background-color: #fcff01;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3UPCjDTX5Rh4BUmNF4PM3TT3026m6YbjYXBbkJAgiSVt_OOg9HzWEh9XY_Kbunn01wTVQDKkgAg0gIoSFCx1Bztplc804wCGh4eP09zrcxrs-fSXWrPvzagL3AIPjA04rMKM1eOeX_zZw2zoUVvlBQjXcmlCAUrWuhmxmJ-PCUmL8E9dGv6QsH_Zq/s284/inquietudine.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="177" data-original-width="284" height="177" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3UPCjDTX5Rh4BUmNF4PM3TT3026m6YbjYXBbkJAgiSVt_OOg9HzWEh9XY_Kbunn01wTVQDKkgAg0gIoSFCx1Bztplc804wCGh4eP09zrcxrs-fSXWrPvzagL3AIPjA04rMKM1eOeX_zZw2zoUVvlBQjXcmlCAUrWuhmxmJ-PCUmL8E9dGv6QsH_Zq/s1600/inquietudine.png" width="284" /></a></div>Ci ha salvato l’inquietudine</span>: siamo e diventiamo vivi per inquietudine e non per abitudine. Non ci accontentiamo ma cerchiamo, esploriamo, scopriamo. Siamo un motore di ricerca, il desiderio, che non ha pace, ma la cerca. Se questo motore si spegne, ci estinguiamo, che vuol dire «ci spegniamo», perdiamo il fuoco della vita. </div><div>Evolutivamente ci ha salvato un inquieto vivere e non un quieto sopravvivere, allora come oggi. Quando intuii, a 17 anni, che volevo fare l’insegnante, molti mi dicevano: «Non rischiare, c’è già lo studio dentistico paterno, sii realista o sarai un morto di fame...». Per fortuna non ascoltai le voci Neanderthal, e mi fidai della voce Sapiens, lo spirito creativo dentro di me, che mi diceva: «Sarai vivo di fame!». Quella voce mi ha salvato: la voce del vivere arrischiato, che lascia la sicurezza e attraversa il mare (dovevo lasciare la Sicilia e andare, come diciamo noi, nel Continente). E così non mi sono «estinto», spento. </div><div><span style="background-color: #fcff01;">Purtroppo però da quello stesso slancio del Sapiens viene anche la sua passione per la distruzione</span> (forse le altre specie sono state «estinte» dalla sua violenza) che dà un’ebbrezza simile a quella creativa, ma a spese della vita: non genera il nuovo ma lo divora, come il dio Cronos mangia i figli. </div><div>Ieri come oggi, il Sapiens o fa la vita dandola o si dà la vita togliendola, <span style="background-color: #fcff01;">diventando Rapiens</span>: l’uomo che afferra (da quel verbo viene l’inglese rape, stuprare). </div><div>Lo esemplifico con il racconto del primo traumatico giorno di superiori narratomi da una studentessa. Alla prima ora entra una professoressa, guarda il gruppo assai numeroso di ragazzini, impauriti dall’inizio del percorso liceale, e dice nella lingua del controllo che dà l’ebbrezza del potere a chi la usa: «Siete troppi, vi ridurremo!». </div><div>La <span style="background-color: #fcff01;">lingua del rischio, che è creativa, dà la stessa ebbrezza ma richiede più impegno</span>, avrebbe detto: «Siete tanti, ma voi e io ce la metteremo tutta per trovare i modi di andare avanti insieme». </div><div>La seconda frase genera, la prima de-genera. </div><div><span style="background-color: #fcff01;">Del racconto di Genesi dimentichiamo che gli alberi dell’Eden sono due</span>: quello della conoscenza del bene e del male, precluso all’uomo a significare che la sua condizione è di creatura e non di creatore (la vita non te la sei data tu); e quello della vita, a sua totale disposizione, a indicare che quella condizione di creatura crea una relazione (la vita ti è donata da Qualcuno). </div><div><span style="background-color: #fcff01;">Kafka ha scritto che la condizione ferita dell’uomo dipende non solo dall’aver mangiato dell’albero della conoscenza del bene e del male, ma anche dal non aver mangiato quello della vit</span>a. L’uomo, scopertosi mortale, deve procurarsi la vita con le sue forze. E allora che cosa è che il Sapiens sa? Che morirà, a differenza dall’animale che vive in un eterno beato presente, come scrive Leopardi nel suo Canto notturno. <span style="background-color: #fcff01;">Questo «saper la morte» è una condanna o una risorsa? </span></div><div>Il grande scienziato Linneo, a metà del 1700, per catalogare i viventi inventò la classificazione a due nomi (genere e specie) e per l’uomo approdò a Homo Sapiens solo alla decima edizione del suo Sistema della natura. Nelle precedenti edizioni scriveva Homo Nosce Teispum, genere Uomo, specie <span style="background-color: #fcff01;">Conosci te stesso</span>: traduzione latina del monito scritto sul tempio del dio Apollo a Delfi, per ricordare all’uomo, che si recava a interrogare il dio attraverso la sua sacerdotessa, il giusto atteggiamento: sei un mortale, pesa le tue parole. </div><div><span style="background-color: #fcff01;"><br />La cultura ebraica e quella greca concordano, da prospettive diverse, sulla posizione dell’uomo nel cosmo.</span> Socrate sceglierà proprio questa frase del tempio di Apollo per sintetizzare il senso dell’esistenza: <span style="background-color: #fcff01;">ogni uomo è chiamato a riconoscere in sé il divino, il daimon, voce immortale che ispira e guida l’azione dell’uomo</span>. Cristo, criticando i gesti ipocriti di coloro che pregano per farsi vedere dagli uomini, dice «quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6). La camera segreta (fisica e del cuore) è dove il Padre dà se stesso a chi lo cerca. <span style="background-color: #fcff01;">Agostino, quattro secoli dopo, ne farà un cammino esistenziale: «Ritorna in te stesso, la verità risiede nell’uomo interiore»</span>. </div><div>Persino nella stanza dell’Oracolo del film Matrix c’è un’insegna con la scritta in latino (Conosci te stesso), invito al protagonista ad accettare la rischiosa chiamata contro le illusioni oppressive create dal Programma, anche a costo della vita, perché non c’è vita senza verità. </div><div><span style="background-color: #fcff01;">Chi sei? Qual è il tuo destino? </span></div><div><span style="background-color: #fcff01;"><br /></span></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixx72dAmGl_XI_IiWQ9enfdL610sjjsflrYqhLwQMqQjCplzpE-B52GP5PxYmfi7azyxwjp4nKSRMU9SsS58qrHUUNBHDzodwAdWquSlpxB9oL1SLTrw4aLxb_W5LRr5JmQPim_DntsKGn0x6M3rQFcjIA4HeYbNuToQTHOELuJV7yyGBp7w_rYbBZ/s800/conosci_te.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="800" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixx72dAmGl_XI_IiWQ9enfdL610sjjsflrYqhLwQMqQjCplzpE-B52GP5PxYmfi7azyxwjp4nKSRMU9SsS58qrHUUNBHDzodwAdWquSlpxB9oL1SLTrw4aLxb_W5LRr5JmQPim_DntsKGn0x6M3rQFcjIA4HeYbNuToQTHOELuJV7yyGBp7w_rYbBZ/s320/conosci_te.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="background-color: #fcff01; text-align: left;">Essere Sapiens è essere «Conosci te stesso», cioè accettare la propria finitezza, e non trasformarla in rabbia distruttiva ma in creatività:e non trasformarla in rabbia distruttiva ma in creatività: imperfezione, incertezza, inquietudine sono sinonimo di ricerca e non di paralisi, di audacia e non di paura, di viaggio e non di violenza. </span></div></div><div><span style="background-color: #fcff01;">Per noi stare nella vita è entrare in relazione generativa con ciò che ci supera, fino a scoprire il divino in noi. </span></div><div>Nella mia vita <span style="background-color: #fcff01;">quando ho cercato di eliminare l’inquietudine</span>, non solo non ci sono riuscito ma ho perso occasioni di crescere e di creare (due verbi che originano dalla stessa antica radice, e che danno lo stesso frutto: l’uomo), perché sono rimasto bloccato dalla paura o, peggio, ho cercato la pace nell’illusione di non morire che dà il potere. </div><div>Invece <span style="background-color: #fcff01;">quando ho deciso di accogliere quell’inquietudine non come debolezza ma come segno della presenza del divino in me</span>, si è sempre trasformata in motore creativo e di crescita: energia per correre il rischio. Rischiando la vita, cioè portandomi avanti con il fatto che dovrò morire, ho scoperto come si vince la morte trovando più vita, come sembra sia proprio del Sapiens. Altrimenti mi sarei estinto, in anticipo, in vita. </div><div><span style="background-color: #fcff01;">Non credo sia un caso che molti eroi del passato di culture diverse, da Ulisse a Sinbad, siano uomini che, per vivere, hanno vinto il mare.</span> Ognuno ha il suo e il coraggio per affrontare l’ignoto lo trova nel suo DNA di Conosci te stesso. </div><div>Un’educazione che rimette al centro il nostro essere Sapiens, non solo non nasconde ai ragazzi la fatica della condizione di uno che sa che morirà (<span style="background-color: #fcff01;">o rischi o ti estingui</span>), ma svela anche la terribile ambiguità di quel rischiare per riuscire a non morire (<span style="background-color: #fcff01;">o crei altra vita o divori quella che c’è</span>). A noi la scelta.</div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-5342959169132500392022-12-31T06:30:00.001+01:002022-12-31T06:30:00.155+01:00NO, LA MELA NO😒Il racconto del peccato originale non identifica il frutto proibito con la mela. Lo dico e ridico, ma tanto qualcuno ci casca sempre (anche la pubblicità🙄). <div>Leggete cosa ho travato nella <b>pagina Facebbok della Comunità ebraica di Roma</b> (ndr il testo è adattato)<br /><div><br /><div>La Torà non rivela l'identità del frutto proibito nel Giardino dell'Eden - dicono i nostri Maestri - per timore che si potesse pensare: “Questa è la specie di frutta che portò la morte nel mondo”. </div><div>I commentatori hanno formulato diverse opinioni su questo tema basate su vari indizi che si trovano nella Torà. Forse era grano, oppure uva (secondo lo Zohar - “Il libro dello Splendore”, testo scritto in un fiorito aramaico classico nella Spagna del XIII secolo - Noè piantò dell'uva appena uscì dall'Arca come riparazione del peccato del frutto proibito), fichi (secondo alcuni commentatori c'è un legame perché il fico servì come vestiario perché usato da Adamo ed Eva per coprirsi: "Tramite ciò con cui sono caduti in basso,sono stati rettificati"). Oppure ancora, il cedro, che in ebraico è chiamato "perì etz hadar" (il frutto dell'albero bello) collegato con l'albero della conoscenza del bene e del male che era di bel aspetto, oppure le noci. <br />Ma allora perché si è sempre detto che fosse la mela? Forse trae origine dalla parola latina <i>malum</i>, che significa “malvagio”, collegata all'altro termine latino malum preso in prestito dal greco che significa mela. </div></div></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGi8aU0W3K1JszftawnBFkjOfRA32UKRuh1gOK5aSg2JcGPGjnouKnx2ObmCVQObqLtmO3dJ3-xE2se9pJS1m6-jGIFWwAoSsf5xxeytC_hQBMU9emnpLjjnU3Mqe-8tRKrYcQrrxBthEt-pxwp6E8EykkzrnwvKVsDA1RXfZgGRZjF-pa9o83EQTJ/s960/mela_adameva.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="960" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGi8aU0W3K1JszftawnBFkjOfRA32UKRuh1gOK5aSg2JcGPGjnouKnx2ObmCVQObqLtmO3dJ3-xE2se9pJS1m6-jGIFWwAoSsf5xxeytC_hQBMU9emnpLjjnU3Mqe-8tRKrYcQrrxBthEt-pxwp6E8EykkzrnwvKVsDA1RXfZgGRZjF-pa9o83EQTJ/w320-h240/mela_adameva.png" width="320" /></a></div><br /><div><br /></div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-69626082157426169802022-12-30T06:30:00.002+01:002022-12-30T06:30:00.217+01:00QUEL GIORNO A SARAJEVO, A VIVER DI PACE<p>Dopo tanto silenzio - la scuola quest'anno mi sta impegnando come non mai, per quanto stia cercando di mollare tanti impegni 🙄 - oggi sono riuscita a trovare un po' di tempo per riprendere a pubblicare quanto vado raccogliendo.</p><p>Di fronte alla guerra alle porte dell'Europa, ma anche con il pensiero a tutte le guerre che infestano questo mondo, mi sono ricordata di quanto avvenne trent'anni fa. A dir la verità è stato il giornale <b>Avvenire</b> a pemettermi di ravvivare nella mia memoria la storia dei 500 che arrivarono a Sarajevo, assediata durante la guerra nei Balcani. <br />Vi riporto alcuni brani dell'articolo pubblicato il 7 dicembre 2022.</p><p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://www.avvenire.it/c/2022/PublishingImages/4e0460a45d0e49c3a05ef5ba424ee1e9/don-Tonino-Sarajevo-b-(13309615).jpg?width=1024" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="800" height="213" src="https://www.avvenire.it/c/2022/PublishingImages/4e0460a45d0e49c3a05ef5ba424ee1e9/don-Tonino-Sarajevo-b-(13309615).jpg?width=1024" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="background-color: white; color: #727274; font-family: "Source Sans Pro", Arial, "Helvetica Neue", Helvetica, sans-serif; font-size: 14px; text-align: left;">Ancona, 13 dicembre ‘92: a destra don Tonino Bello, a sinistra don Albino Bizzotto dei “Beati i costruttori di pace”, di ritorno da Sarajevo </span></td></tr></tbody></table><br /></p><p>La nave dei “folli” si staccò dal porto di Ancona il 7 dicembre di trent’anni fa sotto un cielo da paura. A bordo del Liburnija 496 persone dirette a Sarajevo, la città bosniaca martirizzata da nove mesi e stretta sotto assedio dalle milizie serbe: un esercito di “pacifisti” armati solo del loro essere inermi, pronti ad irrompere nel cuore del conflitto per costringerlo a una tregua anche solo di ore. <br />«In 100.000 a Sarajevo!» era lo slogan con cui don Albino Bizzotto, guida di “Beati i costruttori di pace”, aveva chiamato all’invasione pacifica della città insanguinata. Risposero in 500. Tra loro c’erano giovani e vecchi, credenti e atei, suore e obiettori di coscienza, anarchici e sacerdoti, anche due vescovi, Luigi Bettazzi e Tonino Bello, suo successore alla testa di Pax Christi. <br />Ha 58 anni, don Tonino Bello, ed è minato dal cancro, ma è deciso a interporsi fisicamente tra le parti in guerra per dimostrare che la nonviolenza può funzionare.
Quel 7 dicembre coloro che si imbarcano sanno bene che l’impresa può essere senza ritorno, in molti hanno cercato di farli desistere, ma loro hanno raccolto il sogno e sono partiti, nello zaino acqua e cibo per quattro giorni, poi si vedrà.</p><p>La prima tappa è Spalato, 7 ore di traversata, ma l’Adriatico scatena una tempesta di tale violenza che il Liburnija, dato per disperso dalle agenzie di stampa, arriverà sull’altra sponda con 12 ore di ritardo. «Siamo passati per l’acqua e per il fuoco e il Signore ci ha liberati», dirà poi don Tonino citando la Bibbia, «l’acqua di quel mancato naufragio terrificante, il fuoco delle granate». <br />Vogliono entrare a Sarajevo il 10 dicembre, Giornata mondiale dei Diritti umani, ma i continui posti di blocco e le estenuanti trattative con i capi militari dei diversi eserciti rallentano la marcia. Dell’arrivo della carovana è preavvisata l’Onu, sono preavvisati i rappresentanti delle fazioni in lotta, ma per i 500 non ci sarà protezione, nessuna garanzia, procederanno a loro rischio e pericolo, a bordo di dieci pullman malmessi e due ambulanze portate in dono dall’Italia, una per fronte.
<br />L’ 11 dicembre l’arrivo sulla montagna innevata che sovrasta Sarajevo, ma ancora non è finita: «Una delegazione di dieci di noi si reca a Ilidža a parlamentare con le autorità militari serbe, è una trattativa lunghissima – racconta don Tonino –. <br />Intanto la gente del posto viene sui pullman a offrirci tè caldo. Una signora serba ha visto gli autisti intirizziti dal freddo e, benché fossero croati, li ha portati a casa sua e ha offerto un pranzo per loro». <br />È l’inizio del miracolo umano. <br />La popolazione, prima incuriosita e poi commossa, li attornia, li abbraccia, «un uomo ha visto la mia croce al collo e l’ha baciata, poi mi ha invitato a casa sua dove era in corso il banchetto funebre per suo padre. Sono entrato e mi ha detto: “Io sono serbo, mia moglie è croata, queste mie cognate sono musulmane, eppure viviamo insieme da sempre e ci vogliamo bene. Perché questa guerra? Chi la vuole?” A vedere quella gente seduta alla stessa mensa ho pensato alla convivialità delle differenze: questa è la pace». <br />Infine i 500 entrano in città nel silenzio allucinato delle 7 di sera, quando ormai nessun essere umano oserebbe percorrere il “vialone della morte” crivellato dai cecchini. <br /> «Da nove mesi dopo le quattro del pomeriggio neppure le camionette dell’Onu hanno il coraggio di entrare», annota don Tonino, «ma stasera qui c’è un’altra Onu, un’Onu rovesciata ». Le bombe chiamano bombe, il loro essere lì in pace sta provando al mondo intero che un’alternativa esiste e funziona: «A questa Onu che scivola in silenzio nel cuore della guerra il cielo vuole affidare un messaggio: che la pace va osata».</p><p>Siamo abituati a pensare che “osare” sia il verbo del combattere, quando per morire e ammazzare ci vuole coraggio, invece è la pace che va osata e che davvero richiede coraggio. Solo il giorno prima Sarajevo è stata colpita da tremila granate, ma per la durata in cui gli inermi percorrono il terreno di guerra è evidente che i militari hanno abbassato l’intensità del fuoco. <br />L’ indomani, 12 dicembre, «è incredibile l’accoglienza della gente lungo le strade e dalle finestre», quel gruppo venuto da fuori significa che il mondo esterno non li ha dimenticati. Poi nel buio e nel gelo del cinema don Tonino Bello tiene il discorso destinato a restare nella storia, ad ascoltarlo anche i capi delle diverse religioni in lotta. Nel 1992 non esistono i cellulari e le autorità hanno vietato le riprese, ma don Renato Sacco, consigliere di Pax Christi, registra di nascosto consegnando al futuro un documento di rara potenza: </p><p>«Questa è la realizzazione di un sogno – dice il vescovo, il corpo crocifisso dalla malattia ma lo sguardo acceso di passione – di una grande utopia che abbiamo tutti portato nel cuore, probabilmente sospettando che non si sarebbe realizzata. Ma ringrazio il Signore che, attraverso il nostro gesto folle, ha realizzato l’utopia». Parola che nel suo vocabolario significa azione che contrasta la rinuncia, movimento che contrasta la staticità: «Queste forme di utopia dobbiamo promuoverle, altrimenti le nostre comunità che cosa sono? Sono solo le notaie dello status quo, non le sentinelle profetiche che annunciano tempi nuovi».
Le sue parole infuocano e consolano la popolazione piegata da mesi di tragedia. «Quanta fatica si fa a far capire che la soluzione dei conflitti non avverrà mai con la guerra ma con il dialogo – continua il vescovo –, abbiamo fatto fatica anche qui con i rappresentanti religiosi, perché è difficile questa idea della soluzione pacifica dei conflitti. Ma noi siamo venuti a portare un germe: un giorno fiorirà». [...]</p><p>[...] don Tonino Bello tornando a casa si interrogava, «qual è il tasso delle nostre colpe di esportatori di armi in questa delirante barbarie che si consuma sul popolo della Bosnia? Fino a quando la cultura della nonviolenza rimarrà subalterna?». Era il 13 dicembre 1992, i 500 “folli” tornavano vincenti, contro ogni pronostico erano arrivati fin dentro la guerra e in loro presenza le armi avevano taciuto. Don Tonino, tra «il rimorso del poco che si è potuto seminare» e «l’incontenibile speranza che le cose cambieranno», si avviava verso l’ultima Grande Partenza avvenuta il 20 aprile 1993. </p><p>A Facen di Pedavena (Belluno) in un museo che da decenni osa la pace, tra le stole dei santi è conservata anche quella del venerabile don Tonino Bello, non un segno di potere ma il potere di un segno, il «grembiule che ci fa lavapiedi del mondo», come la definiva il vescovo di Molfetta. Nello stesso “Museo dei Sogni, della Memoria e della Coscienza” sono conservati 25 grandi pani impastati lo scorso Natale nei luoghi più simbolici della terra, tra questi la pagnotta che sulla crosta porta l’impronta della croce di don Tonino: «Sono pani impastati con il sale giunto da 50 nazioni – spiega il direttore Aldo Bertelle – e ora viaggeranno a ritroso, ognuno verso un luogo di conversione ». Il pane di don Tonino Bello passerà di mano in mano sul Ponte di Sarajevo.</p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://i0.wp.com/www.telemia.it/wp-content/uploads/2022/04/gg-4.jpg?w=518&ssl=1" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="399" data-original-width="518" height="296" src="https://i0.wp.com/www.telemia.it/wp-content/uploads/2022/04/gg-4.jpg?w=518&ssl=1" width="384" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">i pani conservati nel “Museo dei Sogni, della Memoria e della Coscienza”</td></tr></tbody></table><br /><p><br /></p>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-45546088132257558892022-09-21T06:30:00.004+02:002022-09-21T06:30:00.197+02:00Sull'integrità morale<div class="separator" style="clear: both;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxSxv5Uxf0RdpSZ3hZUXZ5qJDLa5wP5i5xI_Hjd5CIN3Kwij-vNBzh0o1ZYFOpMvzven28lKLn-gXYY0_hUa-IVgQ41fxnA0Kmpeegd8LSdgNRuGZcMbttxxw4ZCijHG23EYkBTGJ3zK9IEzuphdyd4sDyjoPFgTil1ZK-_HFAmzWsl-uhgvZ3CenR/s317/gestonobile.png" style="display: block; padding: 1em 0px; text-align: center;"><img alt="" border="0" data-original-height="171" data-original-width="317" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxSxv5Uxf0RdpSZ3hZUXZ5qJDLa5wP5i5xI_Hjd5CIN3Kwij-vNBzh0o1ZYFOpMvzven28lKLn-gXYY0_hUa-IVgQ41fxnA0Kmpeegd8LSdgNRuGZcMbttxxw4ZCijHG23EYkBTGJ3zK9IEzuphdyd4sDyjoPFgTil1ZK-_HFAmzWsl-uhgvZ3CenR/s400/gestonobile.png" width="400" /></a>Nel post del 27 luglio sottolineavo che il gesto del campione andasse oltre il fair play, perché mi faceva pensare che c'è una possibilità di bene in ognuno di noi. E' però anche vero che il bene va scelto; certo, a qualcuno può venire naturale, ma ci sono situazioni in cui non è così scontato agire per il bene. </div><div class="separator" style="clear: both;">A scuola alcuni hanno criticato Vingegaard: l'altro (Pogacar) si sarebbe comportato nello stesso modo? e se ne avesse approfittato per vincere lui? prof, e se quel gesto era solo per farsi vedere?</div><div class="separator" style="clear: both;">Vi confesso che non so come è poi andata a finire la gara, però voglio credere che il bene può essere fatto al di là di ogni tornaconto personale, per sola fedeltà ai valori che nutriamo nel nostro cuore. </div><div class="separator" style="clear: both;">Dicevo ai ragazzi che se credi nell'onestà e nella competizione leale (e penso che questi siano i valori che abbiamo mosso il campione), saresti un infame (questa espressione la prendo in prestito da alcuni alunni che me l'hanno suggerita) se ti comportassi in modo contrario. <b>E' quello in cui credi che fa la differenza</b>.</div><div class="separator" style="clear: both;">Dice il Dalai Lama:</div><div class="separator" style="clear: both;">«<i>All’origine di tutti i nostri guai c’è il comportamento individuale. <span style="background-color: #ffe599;">Se i singoli membri della collettività mancano di valori e integrità morale, nessun sistema legislativo potrà mai dimostrarsi adeguato</span>. E fin tanto che gli esseri umani continueranno a dare priorità ai beni materiali, <span style="background-color: #ffe599;">persisteranno l’ingiustizia, le diseguaglianze, l’intolleranza e l’avidità, tutte manifestazioni esteriori del nostro trascurare le qualità interiori</span></i>».</div><div class="separator" style="clear: both;">Non c'è da essere chissà quali scienziati per capire che ognuno di noi può fare la differenza, nel bene e, purtroppo, anche nel male. Tante "bruttezze" a cui assistiamo sono conseguenza di comportamenti individuali che non hanno alcun rispetto delle leggi, che possono anche essere fatte benissimo e giustissime. </div><div class="separator" style="clear: both;">Se, come dice il Dalai Lama (e non solo lui 😉, ma qualcun altro prima di lui), quello in cui credi è solo il tuo interesse, il mondo sarà pieno di guai.</div><div class="separator" style="clear: both;">Ecco quindi che <span style="background-color: #ffe599;">se vogliamo che le cose vadano meglio dobbiamo avere a cuore la nostra integrità morale</span>.</div><div class="separator" style="clear: both;">Una cosa non integra è spezzettata, infranta, disintegrata. Anche noi umani rischiamo di diventare così abituandoci alla mediocrità, alle scelte facili e convenienti solo per noi.</div><div class="separator" style="clear: both;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both;">Girando nel web ho trovato le caratteristiche delle persone integre:</div><div class="separator" style="clear: both;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both;"><b>1. Autenticità</b> </div><div class="separator" style="clear: both;">Prima di tutto le persone che hanno integrità morale sono autentiche, vere, non si nascondono dietro le formalità o le apparenze, e dicono quello che pensano senza mancare di rispetto. </div><div class="separator" style="clear: both;"><b>2. Riconoscenza</b> </div><div class="separator" style="clear: both;">Apprezzano il tuo tempo, il tuo impegno, riconoscono il tuo valore e non lo danno per scontato. </div><div class="separator" style="clear: both;"><b>3. Umiltà</b> </div><div class="separator" style="clear: both;">Rimangono umili, anche quando raggiungono il successo o si trovano in una posizione influente. Trattano le persone allo stesso modo a prescindere dal loro ruolo o posizione sociale.
integrità morale <b>4. Perdono</b> </div><div class="separator" style="clear: both;">Le persone che hanno integrità morale non sentono il bisogno di tenere il rancore dentro, non attuano ritorsioni quando subiscono un torto. Se riconoscono che qualcuno ha commesso un errore in buona fede sanno perdonare, e dimenticare. </div><div class="separator" style="clear: both;"><b>5. Fiducia</b> </div><div class="separator" style="clear: both;">Avendo già fiducia in sé stessi si fidano anche delle persone che li circondano, sanno concedere il beneficio del dubbio anche a chi sembra non meritarselo. </div><div class="separator" style="clear: both;"><b>6. Responsabilità </b></div><div class="separator" style="clear: both;">Si assumono sempre la responsabilità delle loro azioni senza cercare di scaricarla sugli altri. Scelgono di fare la cosa giusta anche quando è quella più difficile. </div><div class="separator" style="clear: both;"><b>7. Pazienza</b> </div><div class="separator" style="clear: both;">Sanno controllare i loro impulsi e attendere il momento giusto. Per questo pensano a lungo termine più che a breve termine.
Mantengono viva la prospettiva di insieme e non si fanno ingannare dall’attrattiva di soluzioni semplici e immediate ma controproducenti nel tempo. </div><div class="separator" style="clear: both;"><b>8. Determinazione</b> </div><div class="separator" style="clear: both;">Sono persone determinate, che non si scoraggiano facilmente e che perseguono i loro obiettivi nonostante le opposizioni o le difficoltà. </div><div class="separator" style="clear: both;"><b>9. Leadership</b> </div><div class="separator" style="clear: both;">Prima di essere leader per gli altri le persone con integrità morale sono leader di sé stessi. Sanno scegliere i propri obiettivi in modo autonomo e darsi delle tempistiche precise per raggiungerli. </div><div class="separator" style="clear: both;"><b>10. Coraggio</b> </div><div class="separator" style="clear: both;">Sono persone coraggiose, consapevoli delle loro paure e che scelgono di affrontarle nonostante tutto, che sanno rischiare, puntare all’impossibile per renderlo possibile. </div><div class="separator" style="clear: both;"><b>11. Cuore</b> </div><div class="separator" style="clear: both;">Forse la caratteristica principale.
Le persone che hanno integrità morale sono persone dal cuore grande, che sanno amare, spendersi per il prossimo quando c’è bisogno.
Per loro contano poco i riconoscimenti esterni, aiutano e rispettano perché è nella loro natura farlo, perché riconoscono la fragilità altrui e vogliono proteggerla invece che sfruttarla per il proprio vantaggio personale.</div><div class="separator" style="clear: both;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both;"><span style="font-size: small;">tratto da </span></div><span style="font-size: x-small;"><a href="https://dentrolatanadelconiglio.com/sviluppo-personale/11-caratteristiche-delle-persone-con-integrita-morale.html" target="_blank">https://dentrolatanadelconiglio.com/sviluppo-personale/11-caratteristiche-delle-persone-con-integrita-morale.html</a></span>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-44489011291549608942022-09-21T06:30:00.001+02:002022-09-21T06:30:00.197+02:00Siamo fatti per la luce<div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0UkYvGHuM-e-IYxPwyQAHEwu6scJ9OC9IwAlbzvHK_VNs1_ipTQQFW79NSmTao3Ry2kYjoKinOlBv-qU7cjb6uZGmqSgYEgvOn_7mfF8dMx0DHNY2yhSZMCz-ARDtsWKz2-yaqJ7qcgSpz9a6mQGhmRJfkC2T7qQDXM7k-_yujuZc7jxO0ArRvga-/s400/ispi%C3%A8ra.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="266" height="202" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0UkYvGHuM-e-IYxPwyQAHEwu6scJ9OC9IwAlbzvHK_VNs1_ipTQQFW79NSmTao3Ry2kYjoKinOlBv-qU7cjb6uZGmqSgYEgvOn_7mfF8dMx0DHNY2yhSZMCz-ARDtsWKz2-yaqJ7qcgSpz9a6mQGhmRJfkC2T7qQDXM7k-_yujuZc7jxO0ArRvga-/w134-h202/ispi%C3%A8ra.jpg" width="134" /></a></div></div><div>L’<b>ispiera </b>– parola di cui confesso che per molto tempo ho ignorato il significato e persino l’esistenza – è un sottile raggio di sole che, penetrando attraverso una fessura in un ambiente buio, lo illumina.</div>Chi non ha mai provato, almeno per un momento nella vita, l’esperienza dell’oscurità? <br />Per qualcuno è diventata persino compagna permanente, arrivando a mettere in discussione l’esistenza stessa della luce. <br />Ci sono persone che, anche solo per un istante, illuminano la nostra esistenza, facendoci percepire – con un gesto o una parola, nella profondità di uno sguardo, nella semplicità di un sorriso – che la realtà è ultimamente positiva, che c’è sempre qualcosa per cui vale la pena vivere e sperare.<div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjrNUM6yTzDLBxYJlP4xdnw19pK4Z2t_JDrLHuT96Nqi7Ok0hytwQTp7YWVL2OtywpV4yGmreU_mJPJRitQk8Br51FRxiH19udTCyr1NRL5Yr6qeZYHVUARxbnKDPED8LENWjM6BxP5dbR2tx1t_WR7F2NH000JITPyWFuoraKqmfs9nONOBL6eGnGC/s1024/maninelsole.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="536" data-original-width="1024" height="119" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjrNUM6yTzDLBxYJlP4xdnw19pK4Z2t_JDrLHuT96Nqi7Ok0hytwQTp7YWVL2OtywpV4yGmreU_mJPJRitQk8Br51FRxiH19udTCyr1NRL5Yr6qeZYHVUARxbnKDPED8LENWjM6BxP5dbR2tx1t_WR7F2NH000JITPyWFuoraKqmfs9nONOBL6eGnGC/w227-h119/maninelsole.jpg" width="227" /></a></div>Mi è accaduto di incontrarne, e hanno fatto bene alla mia vita, lasciando una traccia luminosa del loro<br /> passaggio. Sono testimoni di un bene presente nelle profondità della realtà ma che spesso non siamo capaci di riconoscere e di seguire, rassegnandoci a campare in un’oscurità senza volto che inaridisce i nostri cuori. <br />Grazie a Dio, dunque, per le ispiere che penetrando attraverso le fessure del mio cuore gli hanno fatto conoscere la potenza della luce e la bellezza della vita. Siamo fatti per il giorno, la notte è destinata a passare.<br /><div><br /></div></div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-1048158296284150842022-09-19T06:30:00.001+02:002022-09-19T06:30:00.181+02:00Uscire dalla noia: come trasformare la vita quotidiana in vita eternaPerché questo nostro ricominciare ci salvi dalla noia e ci trovi aperti e pronti a rendere il presente vita eterna.<div><br /></div><div><span>Da <b>A. D'Avenia</b>, <i>Riprendere e riprendersi</i> in <b>Corriere della Sera</b>, 5 settembre 2022</span></div><div><br /></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgeTxHpExwLaeugCrE4QGjI2TU3eH2paakgohwayKn5QbmFP0_wmmnYzX4rPKZeT8bv0zmjcr-Y8vJyWDx31qt79i5vcVR66t4BuNqu8rp-rJcbgQyFi7iS-gtssecZhyt_OsnR8MkXbyd9pXbuiM3yyGZZ51qTfjMte88-Hbwh7fn5WmFCx5uKhnpr/s64/alessandro-davenia.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="64" data-original-width="64" height="64" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgeTxHpExwLaeugCrE4QGjI2TU3eH2paakgohwayKn5QbmFP0_wmmnYzX4rPKZeT8bv0zmjcr-Y8vJyWDx31qt79i5vcVR66t4BuNqu8rp-rJcbgQyFi7iS-gtssecZhyt_OsnR8MkXbyd9pXbuiM3yyGZZ51qTfjMte88-Hbwh7fn5WmFCx5uKhnpr/s1600/alessandro-davenia.jpg" width="64" /></a></div>La ripresa della routine quotidiana dopo le vacanze è spesso accompagnata dalla tristezza, come se si passasse dalla vita vera, quella libera della pausa estiva, a una vita prigioniera, fatta della ripetizione di gesti, orari e impegni prescritti. In questa ripetizione manca la gioia, che sembra dipendere solo dallo straordinario, come mostra la nostra iper-comunicazione social estiva. A corto di gioia quotidiana, viviamo l’ordinario per fuggirne. <span style="background-color: #fcff01;">Come si fa invece a trovare lo straordinario nell’ordinario, la gioia nel quotidiano? </span></div><div><div>In un bel film del 2016 di Jim Jarmusch, intitolato Paterson, nome sia della cittadina del New Jersey in cui si svolge la storia sia del protagonista (interpretato da Adam Driver), un autista ripete la sua routine quotidiana, come accade con le fermate del suo autobus. <span style="background-color: #fcff01;">Eppure Paterson trova gioia proprio in quella ripetizione, non in quanto ripetizione, ma in quanto ripresa</span> [...]</div><div>Insomma le cose sono generose con noi non se le «aumentiamo» o manipoliamo, ma solo se trovano le nostre mani aperte. <span style="background-color: #fcff01;">La nostra mancanza di gioia in fondo è sordità alla realtà</span>: assurdo viene da «sordo», e la vita diventa assurda nella misura in cui noi siamo sordi ai suoi spunti. </div><div>Ciò vale in qualsiasi ambito: lavoro, amore, luoghi… <span style="background-color: #fcff01;">diventano noiosi e vuoti nella misura in cui li ri-petiamo e non li ri-prendiamo. Come fare? </span></div><div>Se siamo <span style="background-color: #fcff01;">aperti, liberi, in ascolto, quel lavoro, quell’amore, quel luogo… saranno occasione di «ri- <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9m2kKaZGikxTA8hs6PLK6RqMWR-2aZ1_BJ0djlsNF2znmbsGPi40f31H0DEbV16AhEG1JB4Et4jc84XniZr2K7yYU6B4xwiTJlh33dvlp0Ta7bMm6HZpnFNInEcVx2zF8zQrMn-GYNKUXdziRlpWz31U0CdEq1SG5IiXNNIqRKCTesxjUNgixDgx7/s487/assorta.PNG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="487" data-original-width="253" height="174" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9m2kKaZGikxTA8hs6PLK6RqMWR-2aZ1_BJ0djlsNF2znmbsGPi40f31H0DEbV16AhEG1JB4Et4jc84XniZr2K7yYU6B4xwiTJlh33dvlp0Ta7bMm6HZpnFNInEcVx2zF8zQrMn-GYNKUXdziRlpWz31U0CdEq1SG5IiXNNIqRKCTesxjUNgixDgx7/w90-h174/assorta.PNG" width="90" /></a></div><br />presa»</span>, cioè qualcosa che è sì <span style="background-color: #fcff01;">come prima ma sempre con qualcosa di nuovo da darci</span>, come quando riprendiamo (non nel senso di farne un video ma di tornare a guardarli senza stancarci) i tramonti, i volti, i libri…<span style="background-color: #fcff01;"> riprendere è trovare il nuovo nello stesso (ri-genera)</span>, invece ripetere è trovare lo stesso nello stesso (ri-produce). <span style="background-color: #fcff01;">Nel riprendere c’è gioia, nel ripetere no</span>. [...]</div><div>Paterson, anche se «ripete» orari e percorsi, in realtà li «riprende»: trova bellezza nelle conversazioni che sente in autobus, nell’incontro con una bambina alla fermata, nelle stravaganze della moglie… E ci riesce semplicemente perché è aperto, sa ascoltare il mondo [...].</div><div><br /></div><div>Così tutto diventa «evento», cosa che lo porta a scrivere poesie su questi istanti eterni. In una di queste scrive che da bambini ci insegnano che la realtà ha tre dimensioni, come una scatola di scarpe, ma poi bisogna scoprire la quarta: il tempo. Da questa dimensione dipende la contentezza che lui prova anche solo bevendo una birra al bar: <span style="background-color: #fcff01;">contento vuol dire «contenuto», la contentezza è l’esperienza dell’essere abbracciati dall’istante, da un tempo pieno di senso</span>. </div><div><span style="background-color: #fcff01;">Viviamo spesso fuori-tempo</span>, senza ritmo e fuori dal presente: ci deprimiamo rimpiangendo il passato, precipitiamo nell’ansia proiettandoci nel futuro, e così ci scappa il <span style="background-color: #fcff01;">presente, unico tempo capace di offrire spunti di gioia solo se noi gli siamo presenti, cioè aperti, in ascolto</span>. [...]</div><div>Frankl (psichiatra sopravvissuto ai campi di concentramento) capì che <span style="background-color: #fcff01;">rimaniamo liberi se prendiamo sul serio il presente:</span> «La svalorizzazione del presente, della realtà che circonda l’internato tende a far trascurare i possibili spunti per dare una forma alla realtà, spunti in qualche modo presenti anche nella vita del lager. <span style="background-color: #fcff01;">La totale svalorizzazione della realtà induce a lasciarsi andare</span>, poiché comunque tutto è inutile». <span style="background-color: #fcff01;">La nostra mancanza di gioia dipende spesso da questa «svalorizzazione» del presente</span>, a cui diventiamo sordi anche per la continua proiezione nel mondo immaginario della comunicazione e della pubblicità. [...] </div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFPQ-KmJY-TVbOc4HoZ2AO3k1oWSInoFhYk1dIC_SwJUBcws82AE-Ff_zfVmxIuxkdt1hX-PDzugX2_skeK1CbzrOm5eu7v-OnujDW_bDnkauYYEfz8OS5hPLMI4ZyV9sRWT-6DM2VDUacdkoPLflKew5Xl6Te3HCEb0XyhwhksClmg2orj9zPpsLj/s400/FotoSketcher%20-%20amici-insieme.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="257" data-original-width="400" height="107" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFPQ-KmJY-TVbOc4HoZ2AO3k1oWSInoFhYk1dIC_SwJUBcws82AE-Ff_zfVmxIuxkdt1hX-PDzugX2_skeK1CbzrOm5eu7v-OnujDW_bDnkauYYEfz8OS5hPLMI4ZyV9sRWT-6DM2VDUacdkoPLflKew5Xl6Te3HCEb0XyhwhksClmg2orj9zPpsLj/w166-h107/FotoSketcher%20-%20amici-insieme.jpg" width="166" /></a></div><span style="background-color: #fcff01;">Per gioire bisogna saper «rischiare» l’istante, ascoltarlo, persino amarlo</span>… Solo così ogni lunedì sarà una ripresa: saremo noi a riprenderci dalla tristezza e a riprenderci la libertà. <br /></div><div>Nella quotidiana ripetizione Paterson ritaglia sempre del tempo per questo allenamento a rimanere aperto (leggendo, osservando, scrivendo), e così coglie le infinite possibilità che, come le parole celate in una pagina bianca, la realtà offre. </div><div>Preferiresti forse essere un pesce? Si chiede a un certo punto. Senza nulla togliere ai pesci, l’autista-poeta sa che <span style="background-color: #fcff01;">la condizione umana può essere una gioia se la si prende e ri-prende per il verso giusto</span>. Solo <span style="background-color: #fcff01;">chi ha orecchie e occhi aperti s’innamora dell’istante</span> e <span style="background-color: #fcff01;">trasforma la vita quotidiana in vita eterna</span>. </div><div>Ma quanto coraggio e quanto silenzio richiede tutto questo? </div><div>Forse solo qualche minuto, ogni giorno, a partire da oggi. </div><div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgz2AYY9_Wp2S2UY5BJqGLPWGUKyOkj3jnosNAXfpmigi6MEoaZaWK5lBzN0O1xhCHvI0KH9ClIH7jqbTPEBdd1FCikQPr2Btv_LtRD661uaTsYCLDW7IeZp6iFC1xEqkH77ZSoY3Krvu6mog-ur5aABP2d9DtP4CWlcmt-a31qazU2ngeemi_rqOZP/s696/orizzonteguarda.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="391" data-original-width="696" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgz2AYY9_Wp2S2UY5BJqGLPWGUKyOkj3jnosNAXfpmigi6MEoaZaWK5lBzN0O1xhCHvI0KH9ClIH7jqbTPEBdd1FCikQPr2Btv_LtRD661uaTsYCLDW7IeZp6iFC1xEqkH77ZSoY3Krvu6mog-ur5aABP2d9DtP4CWlcmt-a31qazU2ngeemi_rqOZP/s320/orizzonteguarda.jpg" width="320" /></a></div><br /></div><div><br /></div></div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8366971573884331566.post-84420971704794667022022-09-18T18:30:00.000+02:002022-09-18T18:30:00.178+02:00Serve credere in Dio oggi?Non so se avete saputo del Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali in Kazakistan. In effetti non è che se ne sia parlato granché. Di religione non se ne parla poi tanto (a meno che la religione non faccia scandalo) e in fondo sono sempre più le persone che la ritengono irrilevante per la vita. <div>Credere serve a qualcosa? Verrebbe da dire di no. </div><div>Di per sé non a fare carriera o ad avere successo, neanche ad apparire interessanti o usufruire di un’esistenza comoda. Tantomeno a diventare più belli o più intelligenti. Insomma, credere in apparenza non serve a niente. </div><div>Tranne che a sentirsi piccoli di fronte all’amore infinito di un Padre per cui siamo tutti figli unici. Tranne che a voler imparare l’arte 'disumana' del perdono. </div><div>Tranne che a cercare bellezza anche negli angoli più sporchi del nostro cuore. </div><div>Tranne che a riconoscersi tutti parte di una stessa famiglia di uomini e donne capaci di vivere come fratelli e sorelle. </div><div>Tranne che a scoprire, poco a poco, in noi e negli altri quei semi di eterno che saranno la trama del 'dopo' che ci attende. </div><div>È lì la radice della speranza che, come insegna il libro del profeta Geremia, non è sterile ottimismo ma la promessa che il Signore fa di esserci sempre accanto, di non far mai mancare la sua presenza nella storia, personale e collettiva.
Perché è l’umanità fatta di persone che danno senso al credere. </div><div>Per dirla con papa Francesco, là dove riprende l’enciclica <i>Redemptor hominis</i> di Giovanni Paolo II, «l’uomo è la via di tutte le religioni». </div><div>Sì, proprio l’essere umano così imperfetto e fragile, che non sussiste da solo, incapace di seminare futuro quando si chiude a chiave nel proprio guscio, con la paura di uscire. Se lo si mette al centro, prima degli interessi economici e militari, prima dei nazionalismi e della corsa al dominio, si toglie significato finanche alla guerra, la si riduce a vuoto, inutile incubo. </div><div>Se le religioni non dimenticassero la loro radice, che è l'essere proiettate in una dimensione altra, ('nel' mondo ma non 'del' mondo, per usare un’immagine evangelica), non potrebbero mai diventare puntello del potere, giustificare i fanatismi, i fondamentalismi, la violenze in nome di Dio, l’odio che lo profana. Distorsioni che sfigurano l’essere umano e così facendo svuotano il senso del credere, lo sgonfiano come un palloncino privo di cielo. </div><div>Il Papa, 'leggendo' la dichiarazione finale dei leader religiosi, ha indicato in tre parole chiave il perimetro entro il quale fedi diverse possono più facilmente camminare insieme: </div><div><ul style="text-align: left;"><li>Pace, come «sintesi di tutto», come grido accorato e sogno, soprattutto come opera della giustizia scaturita dalla fraternità;</li><li>Donna, a indicare cura e vita («Quante scelte di morte – ha sottolineato Francesco – sarebbero evitate se le donne fossero al centro delle decisioni»);</li><li>Giovani: a cui dobbiamo dare in mano le chiavi del domani che si costruisce già oggi, a partire dalla cura della casa comune, la madre Terra di cui siamo i custodi-principi. </li></ul></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmykBpGEhIaL79-UnRvaYXRhx6wELjS9R2dbhZISJRAcbbZCJXR3QGKzUx9_J2Y4TQ8l8Oiknz4R7sVBlztjxM2J9LIqRjT6ft02RYoJnaVudYW3Spr7eHcpLFShN2r1EKXVD0aTOby1WVuuTLPm1LinQYN_kZ13lHktn20bHHCZ2ZByOmjOwQp64c/s526/credere2.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="469" data-original-width="526" height="285" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmykBpGEhIaL79-UnRvaYXRhx6wELjS9R2dbhZISJRAcbbZCJXR3QGKzUx9_J2Y4TQ8l8Oiknz4R7sVBlztjxM2J9LIqRjT6ft02RYoJnaVudYW3Spr7eHcpLFShN2r1EKXVD0aTOby1WVuuTLPm1LinQYN_kZ13lHktn20bHHCZ2ZByOmjOwQp64c/s320/credere2.png" width="320" /></a></div><br />La fede è una luce che si offre come lampada sempre accesa per i bisogni del cuore, come lente d’ingrandimento sui passaggi del Signore nella nostra vita. </div><div>Credere a qualcosa allora serve: a imparare a vedere il mondo con gli occhi di Dio, a eliminare dal vocabolario la parola nemico. Soprattutto a riconoscere in Lui non un giudice o un guerriero vendicativo ma un Padre attento e misericordioso, desideroso di stringere tutti i suoi figli nel medesimo abbraccio. </div><div><br /></div><div>Adattato da <b><span style="font-size: x-small;">RICCARDO MACCIONI</span></b> in <b><span style="font-size: x-small;"><i>AVVENIRE</i></span></b> del 16/09/2022. </div>profrelhttp://www.blogger.com/profile/11251537053998668289noreply@blogger.com0