Il presepe: mai per separare

Da Popotus del 13 dicembre 2018

Piccolo o grandissimo, artistico o casalingo, il presepe riassume lo spirito del Natale. Ed è bellissimo prepararlo insieme, lavorare la carta stagnola per il cielo e il laghetto, decidere in che ordine mettere le pecore, trovare il posto giusto, magari un po’ nascosto, per il pastore addormentato. Di fronte alla grotta di Gesù Bambino anche chi non è lo più torna piccolo. Riscopre l’importanza della famiglia, prepara il cuore alla festa, sente il desiderio di dividere quel che possiede con chi ha meno. Perché il presepe ci dice proprio questo: che abbassarsi rende grandi, che tutti sono invitati alla festa del Signore, che gli ultimi, i più soli, sono i primi agli occhi del Padre.
La Natività ci rivela l’amore folle di un Dio che si fa bambino, che pur di starci accanto accetta il freddo e la povertà, che agli applausi dei vip, degli uomini importanti, preferisce l’allegria semplice, un po’ grossolana, di chi ha le mani sporche di fatica.
Per questo stupisce e fa male vedere il presepe impugnato come un bastone, diventare “segno” che divide, sentir dire che è un obbligo farlo, che chi non lo accetta va considerato straniero e non ha posto tra noi. Ma sbagliato sarebbe anche modificare la realtà delle cose, presentare Giuseppe e Maria come naufraghi, cosa non vera, in nome di una battaglia politica contro misure, ingiuste, a danno dei poveri. Non serve, non ce n’è bisogno.
Il messaggio del presepe è semplice, per capirlo basta avvicinarsi. Guardando la povertà della mangiatoia, la grotta fredda dove nasce il Dio Bambino, diventa facile volere bene ai piccoli, si sente il bisogno di essere più accoglienti, viene spontaneo ringraziare. No, il presepe non è un muro di separazione ma una lezione di ospitalità, il coraggio dei miti opposto all'arroganza dei forti, l’abbraccio che si stringe al petto chi non ha voce. I poveri, gli stranieri, gli ultimi, gli scartati.


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