Giada e la vita

Giada Mulazzani ha 33 anni ed è da 15 anni che è paralizzata dal collo in giù.
«Questi sono i regali che ci fa il sabato sera in discoteca», disse il primario dell’ospedale di Treviglio, in provincia di Bergamo, la notte del 16 gennaio 2005, quando l’automobile guidata dal suo amico Charlie sfrecciò fuori strada uccidendolo sul colpo e sbalzando fuori Giada, allora 19 anni.
«Passo le giornate intere a chiedere. Apro gli occhi la mattina e aspetto di essere girata, quindi mi lavano, mi coprono di crema, mi vestono... successivamente mi ridanno la voce che, per motivi sanitari, mi viene tolta poco prima di addormentarmi. Ci sono una cinquantina di operatori che ormai conoscono il mio corpo meglio di me. Vivo in questo centro con altre 39 persone disabili gravi come me che, a differenza di chiunque di voi, io non ho scelto...».
Ha scritto un libro, Ricomincio dal mio sorriso, che è stato presentato al Teatro Nuovo di Treviglio, «la città dove ho vissuto gli anni veri della mia vita, diciannove». Nel libro svela la ragazzina ombrosa che era, «pronta per spaccare il mondo ma anche ribelle fino a farsi bocciare tre volte alle superiori e due a scuola guida, la classica “è intelligente ma non si impegna”.
Tre anni fa ha voluto andare a Roma per incontrare papa Francesco, «lui sì è tosto, promosso a pieni voti». Voleva raccontargli la sua storia ma la voce le è mancata, «non perché gli infermieri me l’avessero tolta ma per l’emozione. Mi guardava con tale interesse e profondità che sono riuscita a dirgli solo l’essenziale, ovvero “sono Giada”. Mi ha abbracciata e mi ha chiesto di pregare per lui... solo che non so farlo nemmeno per me».
Vorrebbe fare la dura, invece è un misto indefinibile di dolcezza e saggezza, due qualità maturate su quella sedia a rotelle che guida con la bocca. Basta che qualcuno le avvicini alle labbra il joystick e lei, senza smettere di sorridere, dirige la sedia, governa il cellulare, va sui social, gira per Inzago... «sempre con qualcuno, però, perché se si staccasse il ventilatore guai! Mi è già capitato e che panico quei 40 secondi...». Attaccata alla vita, più di quanto non creda.
«Non mi sono mai disperata, la sola cosa che mi fa male è pensare di essere di peso. Quando sei sano ti pare che non potresti mai vivere così, invece poi ti cambia la prospettiva e lo accetti... Mi dicono che faccio molto per gli altri, che do forza a voi, che sono un grande esempio, beh, ne farei volentieri a meno», ride, poi torna seria: «In una scuola una ragazzina mi ha chiesto se piuttosto che stare così non sarebbe meglio morire. Le ho risposto che finché amo e sono amata sono contenta di vivere. Mi piace ancora il sole, risentire i profumi e i sapori grazie allo stimolatore diaframmatico che mi permette di stare ore senza respiratore, persino di fumare e mangiare la pizza con gusto. Solo due cose possono farci chiedere di morire: il dolore fisico e sentirci un peso per gli altri, toglietecele entrambe e la vita sarà bella anche per noi».

Adattato da Giada, che vive da dentro, di Lucia Bellaspiga in Avvenire del 6 ottobre 2019.

https://giornaleditreviglio.it

Commenti

Post popolari in questo blog

La sinagoga

La moschea

Le mappe a scuola