Libertà è fiducia. Come sul trapezio.


Cos'è la libertà? Cosa significa essere liberi? Provo ad adattare un bellissimo articolo pubblicato su Avvenire del 6 novembre 2019, tratto dall'ultimo volume del sociologo Mauro Magatti (Non avere paura. La libertà al tempo dell’insicurezza, Mondadori) per i "miei" alunni più grandi.

 Abbiamo imparato a raccontare la libertà come qualcosa da conquistare una volta per tutte o, peggio ancora, da «possedere». E invece, per sua intima natura, la libertà è proprio ciò che sfugge alla presa. Se la fermassimo, se la stabilizzassimo, non ci sarebbe più. Uccisa dalle pretese del controllo. Ciò però non significa che la libertà possa esistere solo nel magico istante della scelta; al contrario, riducendola all'ebbrezza di questo suo momento primo, d’esordio, le si impedisce di compiere il suo vero scopo: rigenerare il mondo facendolo sempre nuovo e, per questa via, affezionarsi. Così da trasfigurare – pur senza eliminare – la sua originaria solitudine.
La libertà sa ingaggiarsi con la realtà, è capace di abitare il limite di ciò che crea, senza rimanerne prigioniera. La libertà non è, insomma, solo e soltanto liberazione da ogni catena, perché la libertà è qualcosa di più: un compito eccitante ma anche difficile e doloroso.
La libertà non è mai solo un affare individuale, ma sempre e fondamentalmente una relazione. Aperta. Che prende forma dentro ordini sociali, culturali e istituzionali. Quel che sappiamo è che, guardando lo stato del mondo, non possiamo più nasconderci dietro la nostra presunta innocenza: come non vedere che tutta la libertà che abbiamo liberato produce effetti distruttivi che ci ricadono addosso sotto forma di disuguaglianza sociale, crisi po-litica, distruzione dell’ecosistema?
La libertà è uno stile, un habitus, un modo di stare al mondo che un po’ per volta, con fatica e insieme agli altri, si può imparare ad assumere. La configurazione dei movimenti che la libertà richiede richiama in particolare la figura del trapezista che si lancia nel vuoto superando il senso di vertigine che lo cattura, guardando avanti. Decidersi a iniziare, ad abbandonare la certezza della piattaforma sulla quale i piedi sono ben piantati è qualcosa che nessuno può fare al nostro posto. Occorre amare profondamente la vita e intuire che ne possiamo essere autori ma non padroni. Rotti gli indugi e lanciati nell'azione, si può sentire l’eccitazione della vita che ci viene addosso. L’aria che accarezza il volto e passa tra i capelli, trasmettendo un senso di onnipotenza che può essere fatale. Per non cadere, è essenziale essere allenati e mantenere la presa sul trapezio, assecondandone le oscillazioni e impegnandosi a condizionarle, per quanto possibile. Tuttavia, perché l’esercizio possa riuscire, viene il momento in cui l’acrobata deve avere il coraggio di lasciare la presa, una volta che il trapezio, al culmine della sua parabola, lo ha portato in alto. È lì, in quel preciso istante che la magia della libertà può finalmente compiersi in tutta la sua grazia: in quel volteggio mirabolante e straordinario che solo la sospensione aerea, prodotta dal coraggio di «lasciar andare », rende possibile. E tuttavia, per quanto possa essere compiuto solo grazie a un pieno e assoluto coinvolgimento personale, questo movimento non è mai semplicemente individualistico. Il trapezista lascia andare, consegnandosi alla sospensione nel vuoto in cui può eseguire i propri avvitamenti, rotazioni e torsioni, nella convinzione che troverà ad attenderlo al termine della sua esecuzione le braccia tese del suo compagno, in bilico su un altro trapezio, ad afferrarlo, strappandolo a una caduta altrimenti inevitabile. L’atto del lasciar andare sarebbe dunque impossibile senza una profonda fiducia nell'altro.
Come ogni acrobazia, anche la libertà ha le sue regole che occorre conoscere: richiede metodo e preparazione così come coraggio, creatività e passione, senza cui si diventa soltanto meri esecutori. E come in ogni esercizio, è importante essere aperti alla contingenza, saper adattare il copione sulla base della pluralità imprevedibile delle situazioni. Alla fine occorre lanciarsi e lasciarsi andare, vincendo anche la paura di essere guardati e giudicati, giacché se ci lasciamo bloccare dal timore del giudizio non avremo mai la possibilità di esprimere concretamente chi siamo e di cosa la nostra libertà è capace. Per essere buoni acrobati occorre essere leggeri e decisi, senza mai irrigidirsi ma sapendosi adattare al movimento altrui. Occorre avere intuito, reagire con prontezza, fidarsi di sé e degli altri, imparando a guidare e a seguire, senza voler avanzare a tutti i costi, sapendo invece fare un passo di lato, quando serve. A volte fermarsi e ricominciare. Non si tratta tanto di essere spontanei, quanto di essere pazienti e umili, accettando che il lungo percorso di apprendimento non giunga mai a compimento, ingaggiandoci per l’intero arco dell’esistenza: un percorso fatto di prove, allenamenti, errori, fallimenti. Dove si cade mille volte. Ma dove ogni volta ci si può rialzare, specie se avremo avuto cura di salvaguardare le reti sociali primarie e di edificare solide reti istituzionali. Vivere acrobaticamente non tollera alcun autocompiacimento. Quando ci si illude di aver imparato ogni passo e di avere tutto sotto controllo, il rischio di sbagliare è più alto.
Desiderata e praticata, la libertà sorprende e spiazza. Sempre. Se riusciamo a riconoscerla è perché un bel giorno, voltandoci indietro, ci possiamo accorgere di un movimento insperato e imprevedibile che ha cambiato il corso della vita. Questa è la libertà.

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