Quando a vincere è la solidarietà

Dell’'invasione' di Lampedu­sa non c’è più traccia. La col­lina è stata ripulita, per le stra­de nessun bivacco. I migranti ci sono, continuano ad arrivare, ma si trova­no nel centro d’accoglienza ormai de­congestionato. Tutti tranne uno. O­mar, 19 anni appena fatti, ha trovato casa sull’isola. Non avrebbe potuto sopportare la vita al centro, né il rim­patrio, né il trasferimento in altri campi italiani. La sua fragilità psico­fisica implorava accoglienza e Lam­pedusa ha risposto. Una famiglia di volontari della parrocchia di San Ger­lando, impegnata per settimane nel­l’assistenza ai tunisini, nel distribui­re cibo, bevande, coperte, ha fatto di più, molto di più. «...Tutto quello che avete fatto al più piccolo dei miei fra­telli l’avete fatto a me». E loro non hanno avuto esitazione.
Hanno raccolto questo ragazzo solo e terroriz­zato dal mondo e lo hanno portato nella lo­ro casa, per curarlo.
Raimondo Sferlazzo, la moglie Renata, i figli E­manuele e Alessio, so­no diventati la sua fa­miglia, quella che non ha mai avuto neppure in Tunisia.
Omar ha un vissuto che assomiglia alla sceneggiatura di un film. Abbandonato dalla madre, vit­tima di un compagno violento, è sta­to cresciuto da una cugina, cristia­na, che sin da bambino gli ripeteva: «Se ti dovessi trovare in difficoltà nel­la vita, vai in una chiesa. Lì qualcu­no di aiuterà». E così ha fatto. Sbar­cato a Lampedusa assieme ad altre migliaia di persone, non riusciva a sopportare l’idea di stare con quella folla per strada o nell’accampamen­to. Omar si è nascosto nelle campa­gne e un giorno, gracile come un ba­stoncino, ha bussato alla parrocchia di San Gerlando di Lampedusa. Lì, i volontari alle prese con centinaia di migranti che chiedevano di potersi lavare, di poter mangiare, riposarsi, cambiarsi i vestiti luridi, hanno a­perto anche a lui. Hanno capito che si trattava di un caso particolare. Quel ragazzo sembrava smarrito, sot­to shock, non parlava, tremava.
«Quando vedeva uomini in divisa in giro, si addormentava. Era una sorta di autodifesa» racconta Raimondo Sferlazzo, che a quel punto non ha avuto dubbi. «Abbiamo deciso di prenderlo con noi e piano piano si sta aprendo, comincia a mangiare un po’ di più, si sta affezionando. Ha bi­sogno di essere aiutato» sottolinea.
Aveva bisogno anche Helmi, che u­na sera per strada chiese a Raimon­do le sigarette «e io me lo portai a ca­sa per dargli anche le coperte. Ri­mase a mangiare e poi lo accompa­gnai nella tendopoli. Poi mi chiese se poteva mettere il materasso sotto ca­sa mia, in strada. A quel punto io e mia moglie lo invitammo a dormire in un letto vero». Avevano bisogno anche Mohammed di 18 anni e Am­za di 19, che Raimondo ha accom­pagnato alla partenza piangendo. «Li ho sentiti per telefono, quando sono arrivati al Nord. Stanno tutti bene» racconta con emozione.
Adesso tocca a Omar, che ha già preso pos­sesso della cucina di ca­sa Sferlazzo e prepara ottimi dolci tunisini. Lo hanno portato da una psicologa del poliam­bulatorio, sarà seguito con attenzione. È riu­scito a ottenere un per­messo per sei mesi, du­rante i quali cercherà di incollare i cocci di una vita frammentata.
È una delle tante storie dell’altra fac­cia di Lampedusa, quella dell’acco­glienza, che può diventare un esem­pio per tutta la Chiesa siciliana. Ne è convinto Valerio Landri, direttore del­la Caritas agrigentina, che è tornato per alcuni giorni sull’isola per in­contrare uno ad uno i volontari del­la comunità parrocchiale, perché l’e­sperienza vissuta non venga spreca­ta, «ma possa essere messa a servizio dell’intera Chiesa agrigentina - dice -. Questo gruppo ha maturato una competenza nell’intervenire nell’e­mergenza, che può essere condivisa anche con gli altri gruppi Caritas». Non è un caso che all’inizio di giu­gno il primo convegno diocesano del­la Caritas si svolgerà a Lampedusa, proprio dove la Storia sta lasciando la sua impronta.
(Omar ha cercato rifugio in chiesa e trovato la sua prima famiglia  di Alessandra Turrisi in Avvenire del 20 aprile 2011)

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