Dalla torre di Babele tante lingue per crescere
Quando si sente parlare della torre di Babele si pensa subito a «confusione» e «disorganizzazione», ma forse questo è un modo riduttivo di leggere i fatti riguardo a questa grande impresa.
Il racconto si trova nei primi nove versi dell’undicesimo capitolo del libro della Genesi: tutti gli uomini parlavano una solo lingua e si misero in testa di costruire una città e una torre che arrivasse al cielo. Il Signore allora scese e vide in cosa si stavano impegnando gli uomini, decidendo di farli parlare diverse lingue in modo che, non capendosi più l’un l’altro, essi si disperdessero su tutta la Terra.
L’interpretazione classica di questo racconto mette al centro la superbia degli uomini, che con quella torre vogliono quasi sfidare Dio e per ciò vengono puniti. In questo modo l’esistenza di numerose lingue, tutte diverse, viene interpretata come una punizione divina.
Per alcuni studiosi, però, la dispersione nel mondo degli uomini può essere visto come un fatto positivo, che ha permesso all’umanità di crescere e quindi il gesto di Dio non è stato una punizione bensì un aiuto all’umanità a realizzare la sua vera vocazione.
Ma davvero nell’antichità ci fu chi tentò di arrivare al cielo con una torre? I progetti architettonici arditi non sono certo un’invenzione moderna e i testi letterari legati a queste opere non mancano. Anche il racconto di Babele potrebbe essersi ispirato a una torre realmente esistita a Babilonia, dove tutto il popolo d’Israele fu prigioniero per diversi decenni nel VI secolo prima di Cristo.
In questa terra (oggi in Iraq) gli israeliti, probabilmente, videro la ziqqurat Etemenanki, un’enorme costruzione all’epoca incompiuta. Ai loro occhi questa torre, di cui oggi rimangono i resti, era il simbolo della superbia dell’oppressore, i babilonesi, e quindi segno negativo di sopraffazione e violenza.
Nella Bibbia, quindi, questa costruzione rappresenta tutte quelle imprese in cui l’uomo s’imbarca dimenticando Dio, il quale però interviene sempre per ricordarci cosa conta veramente nella vita.
E la diversità delle lingue? Spetta ai glottologi, in realtà, il compito di dirci da dove nascano le lingue, ma intanto la Bibbia ci ricorda che esse sono un ostacolo solo quando l’uomo si dedica a opere tutte sue. Quando invece si diventa strumenti nella mani di Dio le lingue sono una ricchezza, come dimostra ciò che accadde a Pentecoste, quando gli apostoli si misero ad annunciare il Vangelo facendosi capire da tutti gli stranieri presenti a Gerusalemme.
Matteo Liut in Popotus del 4 marzo 2014
Il racconto si trova nei primi nove versi dell’undicesimo capitolo del libro della Genesi: tutti gli uomini parlavano una solo lingua e si misero in testa di costruire una città e una torre che arrivasse al cielo. Il Signore allora scese e vide in cosa si stavano impegnando gli uomini, decidendo di farli parlare diverse lingue in modo che, non capendosi più l’un l’altro, essi si disperdessero su tutta la Terra.
L’interpretazione classica di questo racconto mette al centro la superbia degli uomini, che con quella torre vogliono quasi sfidare Dio e per ciò vengono puniti. In questo modo l’esistenza di numerose lingue, tutte diverse, viene interpretata come una punizione divina.
Per alcuni studiosi, però, la dispersione nel mondo degli uomini può essere visto come un fatto positivo, che ha permesso all’umanità di crescere e quindi il gesto di Dio non è stato una punizione bensì un aiuto all’umanità a realizzare la sua vera vocazione.
Ma davvero nell’antichità ci fu chi tentò di arrivare al cielo con una torre? I progetti architettonici arditi non sono certo un’invenzione moderna e i testi letterari legati a queste opere non mancano. Anche il racconto di Babele potrebbe essersi ispirato a una torre realmente esistita a Babilonia, dove tutto il popolo d’Israele fu prigioniero per diversi decenni nel VI secolo prima di Cristo.
In questa terra (oggi in Iraq) gli israeliti, probabilmente, videro la ziqqurat Etemenanki, un’enorme costruzione all’epoca incompiuta. Ai loro occhi questa torre, di cui oggi rimangono i resti, era il simbolo della superbia dell’oppressore, i babilonesi, e quindi segno negativo di sopraffazione e violenza.
Nella Bibbia, quindi, questa costruzione rappresenta tutte quelle imprese in cui l’uomo s’imbarca dimenticando Dio, il quale però interviene sempre per ricordarci cosa conta veramente nella vita.
clicca qui per vedere la vignetta originale e leggere il commento al brano degli Atti degli Apostoli sulla Pentecoste |
Matteo Liut in Popotus del 4 marzo 2014
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