Il nostro peggior nemico: la mediocrità

Alberto Caprotti scrive su Avvenire del 4 aprile che
«Una delle più grandi povertà del mondo è quella delle persone che non sono mai contente di nulla. Galleggiano nel limbo, non sanno mai se ridere o piangere, e nel dubbio non fanno né l’uno né l’altro. Non rischiano, non vivono, confondono la felicità con quello che desiderano senza apprezzare il bello e il buono che hanno a portata di mano ogni giorno. Invece è sempre valida e forte la convinzione che sia meglio la delusione rispetto al rimpianto, se non altro perché regala la consolazione di averci provato. E la consapevolezza di sapere che chi si accontenta forse gode, ma solo un po’».
Il nostro peggior nemico ha detto Papa Francesco, rivolgendosi ai giovani, «non sono i problemi concreti, per quanto seri e drammatici: il pericolo più grande della vita è un cattivo spirito di adattamento che non è mitezza o umiltà, ma mediocrità, pusillanimità”.
Due pensieri molto simili, perché ci invitano a considerare che non ci si può rassegnare al mondo, così come è, ma che vale sempre la pena rischiare per contribuire a renderlo migliore. Niente mediocrità, ma coraggio e impegno.
«Se ognuno pensasse di poter davvero lasciare un segno del proprio passaggio - continua l'editoriale di Caprotti- forse nel mondo ci sarebbero più bellezza e meno squallore. Invece, purtroppo viviamo foderati di disimpegno: ribellarsi è difficile, anche se sappiamo che la sfiducia porta al cinismo, e il cinismo alla rassegnazione. Quella che ci impedisce di pensare che possiamo fare qualcosa di grande e di unico, sempre e comunque. Anche se non siamo famosi, anzi, proprio perché non siamo nessuno. Noi però siamo quello che facciamo. Non serve essere scienziati: il talento è di tutti, nessuno escluso: quello che conta è accorgersi di possederlo, e riuscire a sognare cosa potremmo essere con la sola forza dell’impegno e della convinzione».

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