Superficiali? No grazie

«La vita non è abbastanza. Allora cosa voglio? Voglio una decisione per l'eternità, qualcosa da scegliere e da cui non mi allontanerò mai, in nessuna oscura esistenza o qualunque altra cosa accada. E qual è questa decisione? Una qualche tipo di febbre della comprensione, un'illuminazione, un amore che andrà oltre, trascenderà questa vita verso nuove esistenze, una visione seria, finale e immutabile dell'universo. 
Questo è ciò che intendo quando dico che "voglio degli Occhi". Perché dovrei volere tutto questo? Perché qui sulla terra non c'è abbastanza da desiderare, o meglio, qui non esista una singola cosa che io voglia. Perché non voglio una vita terrena? Perché non mi basta? Perché non mi illumina l'anima, non mi riempie il cervello di eccitazione e non mi fa piangere di felicità. Perché vuoi provare queste cose? Perché la ragione e le questioni di fatto, la scienza e la verità non me le fanno provare e non mi conducono verso l'eternità, anzi, mi soffocano come l'aria viziata, stantia».
Jack Kerouac, dal “Diario di Viaggio” 1949 (Un mondo battuto dal vento)

Interessante questo passo, che testimonia come nell'essere umano ci sia una sete di senso che ci richiama, prepotentemente, a non banalizzare la nostra vita.
Dobbiamo trovare il senso, perché l’alternativa alla mancata ricerca è la noia, l’anestesia del cuore e dell’anima, il cervello vuoto di eccitazione (a dirla usando le parole di Kerouac).
Mi sembra che tanto “sballo”, cercato non solo dai giovani ma anche dagli “adulti”, sia l’espressione di una fuga da questa ricerca, un tentativo di non sentire il male che si accompagna alla consapevolezza della nostra fragilità.
Ci siamo evoluti in questa fuga, ma nello stesso tempo ci siamo impoveriti di domande, quelle vere, quelle che spingono a trovare il senso. Stiamo tradendo noi stessi, la nostra stessa umanità. La superficialità vince sulla profondità a cui siamo costretti quando cerchiamo il senso.

Tra le tante citazioni che ho trovato sulla parola "superficialità" ne riporto una

«L’anima soffre – e soffre tremendamente allorché la costringiamo a vivere in maniera superficiale. L’anima ama le cose belle e profonde». (Paulo Coelho)

Tanta bruttezza che vediamo nel mondo può essere la conseguenza di questa superficialità che finisce per distruggere la nostra anima?

Leggiamo cosa diceva Hanna Arendt su Eichmann, il criminale nazista:

«Restai colpita dall'evidente superficialità del colpevole, superficialità che rendeva impossibile ricondurre l’incontestabile malvagità dei suoi atti a un livello più profondo di cause e motivazioni. Gli atti erano mostruosi, ma l’attore risultava quanto mai ordinario, mediocre, tutt'altro che demoniaco e mostruoso. Nessun segno in lui di ferme convinzioni ideologiche o specifiche condizioni malvagie, e l’unica caratteristica degna di nota che si potesse individuare nel suo comportamento fu: non stupidità, ma mancanza di pensiero».

Si può affermare, rimanendo in linea con il pensiero della Arendt, che il bene è «radicale», proviene dalla mente, dalla riflessione e dal cuore; il male, al contrario, non si fonda su nulla, nemmeno sull'odio, ma è causato solo dalla totale incapacità critica. Di questo c’è da aver paura.
Per cui, ritornando a Kerouac, dobbiamo aprirci alle domande, e non rassegnarci alla superficialità che ci rende mediocri, insensibili, dis-umani.
L'aridità del pensiero diventa anche aridità del cuore e dell’anima.
Per cui:
Superficiali? No grazie.

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