Per comprendere Gen 3: una catechesi del Papa

Nei primi capitoli del Libro della Genesi tro­viamo due immagini significative: il giardino con l’albero della conoscenza del bene e del male e il serpente (cfr 2,15-17; 3,1-5). Il giar­dino ci dice che la realtà in cui Dio ha posto l’essere umano non è una foresta selvaggia, ma luogo che protegge, nutre e sostiene; e l’uomo deve riconoscere il mondo non come proprietà da saccheggiare e da sfruttare, ma come dono del Creatore, segno della sua vo­lontà salvifica, dono da coltivare e custodire, da far crescere e sviluppare nel rispetto, nel­l’armonia, seguendone i ritmi e la logica, se­condo il disegno di Dio (cfr Gen 2 ,8 -15 ). Poi, il serpente è una figura che deriva dai culti o­rientali della fecondità, che affascinavano I­sraele e costituivano una costante tentazio­ne di abbandonare la misteriosa alleanza con Dio. Alla luce di questo, la Sacra Scrittura pre­senta la tentazione che subiscono Adamo ed Eva come il nocciolo della tentazione e del peccato. Che cosa dice infatti il serpente? Non nega Dio, ma insinua una domanda subdo­la: «È vero che Dio ha detto 'Non dovete man­giare di alcun albero del giardino?'» ( Gen 3,1). In questo modo il serpente suscita il sospet­to che l’alleanza con Dio sia come una cate­na che lega, che priva della libertà e delle co­se più belle e preziose della vita. La tentazio­ne diventa quella di costruirsi da soli il mon­do in cui vivere, di non accettare i limiti del­l’essere creatura, i limiti del bene e del male, della moralità; la dipendenza dall’amore crea­tore di Dio è vista come un peso di cui libe­rarsi. Questo è sempre il nocciolo della ten­tazione. Ma quando si falsa il rapporto con Dio, con una menzogna, mettendosi al suo posto, tutti gli altri rapporti vengono alterati. Allora l’altro diventa un rivale, una minaccia: Adamo, dopo aver ceduto alla tentazione, ac­cusa immediatamente Eva (cfr Gen 3 ,12 ); i due si nascondono dalla vista di quel Dio con cui conversavano in amicizia (cfr 3,8-10); il mondo non è più il giardino in cui vivere con armonia, ma un luogo da sfruttare e nel qua­le si celano insidie (cfr 3,14-19); l’invidia e l’o­dio verso l’altro entrano nel cuore dell’uomo: esemplare è Caino che uccide il proprio fra­tello Abele (cfr 4,3-9). Andando contro il suo Creatore, in realtà l’uomo va contro se stes­so, rinnega la sua origine e dunque la sua ve­rità; e il male entra nel mondo, con la sua pe­nosa catena di dolore e di morte. E così quan­to Dio aveva creato era buono, anzi, molto buono, dopo questa libera decisione dell’uo­mo per la menzogna contro la verità, il male entra nel mondo.

Dei racconti della creazione, vorrei eviden­ziare un ultimo insegnamento: il peccato ge­nera peccato e tutti i peccati della storia so­no legati tra di loro. Questo aspetto ci spin­ge a parlare di quello che è chiamato il 'pec­cato originale'. Qual è il significato di que­sta realtà, difficile da comprendere? Vorrei dare soltanto qualche elemento. Anzitutto dobbiamo considerare che nessun uomo è chiuso in se stesso, nessuno può vivere solo sé e per sé; noi riceviamo la vita dall’altro e non solo al momento della nascita, ma o­gni giorno. L’essere umano è relazione: io so­no me stesso solo nel tu e attraverso il tu, nella relazione dell’amore con il Tu di Dio e il tu degli altri. Ebbene, il peccato è turbare o distruggere la relazione con Dio, questa la sua essenza: distruggere la relazione con Dio, la relazione fondamentale, mettersi al posto di Dio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che con il primo peccato l’uomo 'ha fatto la scelta di se stesso contro Dio, contro le esigenze della propria condizione creatu­rale e conseguentemente contro il proprio bene' (n. 398). Turbata la relazione fonda­mentale, sono compromessi o distrutti an­che gli altri poli della relazione, il peccato ro­vina le relazioni, così rovina tutto, perché noi siamo relazione. Ora, se la struttura relazio­nale dell’umanità è turbata fin dall’inizio, o­gni uomo entra in un mondo segnato da questo turbamento delle relazioni, entra in un mondo turbato dal peccato, da cui viene segnato personalmente; il peccato iniziale intacca e ferisce la natura umana (cfr Cate­chismo della Chiesa cattolica , 404-406). E l’uomo da solo, uno solo non può uscire da questa situazione, non può redimersi da so­lo; solamente il Creatore stesso può ripristi­nare le giuste relazioni. Solo se Colui dal qua­le ci siamo allontanati viene a noi e ci tende la mano con amore, le giuste relazioni pos­sono essere riannodate. Questo avviene in Gesù Cristo, che compie esattamente il per­corso inverso di quello di Adamo, come de­scrive l’inno nel secondo capitolo della Let­tera di San Paolo ai Filippesi (2,5-11): men­tre Adamo non riconosce il suo essere crea­tura e vuole porsi al posto di Dio, Gesù, il Fi­glio di Dio, è in una relazione filiale perfetta con il Padre, si abbassa, diventa il servo, per­corre la via dell’amore umiliandosi fino alla morte di croce, per rimettere in ordine le re­lazioni con Dio. La Croce di Cristo diventa co­sì il nuovo albero della vita. Cari fratelli e sorelle, vivere di fede vuol dire riconoscere la grandezza di Dio e accettare la nostra piccolezza, la nostra condizione di creature lasciando che il Signore la ricolmi del suo amore e così cresca la nostra vera grandezza. Il male, con il suo carico di dolo­re e di sofferenza, è un mistero che viene il­luminato dalla luce della fede, che ci dà la cer­tezza di poterne essere liberati: la certezza che è bene essere un uomo.
Benedetto XVI, udienza di mercoledì 6 febbraio 2013

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