L'inferno, dove non c'è l'amore
Per parlare dell’inferno, Gesù si è fermato a osservare la valle scavata dal fiume Hinnon a sud di Gerusalemme, che nei periodi di siccità diventa luogo per i rifiuti.
Oggi parleremmo d’immondezzaio o di inceneritori più o meno ecologici. E dalla Geenna ha tratto spunti per raccontare alcune parabole che annunciano non soltanto l’esito positivo, ma anche quello infausto dell’esistenza umana.
Inferno è non rendersi conto che davanti alla propria porta c’è un povero in attesa di essere soccorso, come Lazzaro; è giudicare senza misericordia l’altro; è serrare il proprio cuore alla riconciliazione con il prossimo; è seminare zizzania in un campo di grano; è non mettere a frutto i talenti ricevuti; è vendere la propria vita per il potere e per la propria gloria.
Sapere che esiste l’inferno è conoscere un luogo dove non è possibile edificare, piantare, dove il fetore impedisce di respirare. In quel luogo Dio non entra poiché significherebbe che è connivente con il male, che il bene non è diverso dal male e che qualunque cosa facciamo Egli è dalla nostra parte.
A forza di dire che l’inferno non esiste o che se esiste è vuoto, si è trasferito l’inferno nella vita di ogni giorno, quando si è sempre insoddisfatti del potere, della ricchezza e dei piaceri. Ma, al di sopra di tutto, inferno è non credere all’amore di Dio in Cristo poiché chi non crede in lui non ha bisogno di essere condannato, ma si è già condannato e chiunque fa il male odia la luce e non viene alla luce (cf. Giovanni 3,18-20).
Gesù non ha parlato della Geenna come luogo di perdizione per spaventare i suoi ascoltatori, ma perché non ci s’illudesse che la misericordia di Dio possa prescindere dall’accoglienza del suo amore e dall’amore per il prossimo.
Non c’è nulla dell’inferno che sia una sorpresa, ma tutto è anticipato nell’ostinato rifiuto dell’amore di Dio.
Da Catechismo quotidiano di Antonio Pitta su Avvenire del 27 marzo 2013
Oggi parleremmo d’immondezzaio o di inceneritori più o meno ecologici. E dalla Geenna ha tratto spunti per raccontare alcune parabole che annunciano non soltanto l’esito positivo, ma anche quello infausto dell’esistenza umana.
Inferno è non rendersi conto che davanti alla propria porta c’è un povero in attesa di essere soccorso, come Lazzaro; è giudicare senza misericordia l’altro; è serrare il proprio cuore alla riconciliazione con il prossimo; è seminare zizzania in un campo di grano; è non mettere a frutto i talenti ricevuti; è vendere la propria vita per il potere e per la propria gloria.
Sapere che esiste l’inferno è conoscere un luogo dove non è possibile edificare, piantare, dove il fetore impedisce di respirare. In quel luogo Dio non entra poiché significherebbe che è connivente con il male, che il bene non è diverso dal male e che qualunque cosa facciamo Egli è dalla nostra parte.
A forza di dire che l’inferno non esiste o che se esiste è vuoto, si è trasferito l’inferno nella vita di ogni giorno, quando si è sempre insoddisfatti del potere, della ricchezza e dei piaceri. Ma, al di sopra di tutto, inferno è non credere all’amore di Dio in Cristo poiché chi non crede in lui non ha bisogno di essere condannato, ma si è già condannato e chiunque fa il male odia la luce e non viene alla luce (cf. Giovanni 3,18-20).
Gesù non ha parlato della Geenna come luogo di perdizione per spaventare i suoi ascoltatori, ma perché non ci s’illudesse che la misericordia di Dio possa prescindere dall’accoglienza del suo amore e dall’amore per il prossimo.
Non c’è nulla dell’inferno che sia una sorpresa, ma tutto è anticipato nell’ostinato rifiuto dell’amore di Dio.
Da Catechismo quotidiano di Antonio Pitta su Avvenire del 27 marzo 2013
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