Ragionando di fede, accompagnati dal Salmo 91

Vorrei proporvi una riflessione sulla fede. In primo luogo mi rivolgo agli studenti più grandi ma, attraverso la mia mediazione, potrei provare a "punzecchiare" anche gli studenti delle medie.
La fiducia e la fede sono parole sorelle. Senza l’una non c’è l’altra, e la fede è un rapporto segnato dalla vulnerabilità. 
Mi faccio aiutare da Luigino Bruni che su Avvenire del 23 agosto ci accompagna in questa riflessione prendendo spunti preziosi dal Salmo 91. 
La fiducia è una relazione radicalmente vulnerabile. Quando una persona si fida di un’altra, mette nelle sue mani qualcosa di proprio di cui l’altro può disporre e persino abusare. Sta in questa esposizione di colui che dà fiducia la radice di quella gioia speciale che proviamo quando qualcuno ripone in noi la sua fiducia, perché sentiamo che ci ha chiesto di custodire qualcosa di prezioso che riguarda la sua persona, la sua intimità, il suo mistero, anche quando passa attraverso semplici cose materiali. [...] 
Se allora chi compie un atto di affidamento fa di tutto per ridurre e possibilmente annullare il rischio di abuso e tradimento intrinseco alla fiducia, finisce per ridurre e azzerare il valore di quel bene relazionale. Se, ad esempio, nello scrivere un contratto ne definisco i dettagli fino a includere tutte le possibili situazioni future al fine di prevenirmi da ogni possibile uso scorretto di quella relazione fiduciaria, sto dando alla controparte un messaggio di sfiducia che cambia la natura del rapporto che stiamo costruendo. [...] La fiducia invulnerabile non è un bene. [...] 
La fede biblica ha essenzialmente una natura ternaria. Tra il fedele e il suo Dio c’è qualcuno che gli dice che si può fidare. Questo qualcuno è un profeta, è Abramo o Mosè, è la Torah, ma è anche il fratello o la sorella nella fede. [...] Non tutti abbiamo un profeta accanto a insegnarci la fede, ma tutti abbiamo una persona che ci può insegnare a credere e a fidarci. Una persona che ci dice: «Egli ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge. Ti coprirà con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio; la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza. Non temerai il terrore della notte né la freccia che vola di giorno, la peste che vaga nelle tenebre, l’epidemia che devasta a mezzogiorno» (Salmo 91,3-6). E noi rispondiamo: «Sì, mio rifugio sei tu, o Signore!» (91,9): è il secondo movimento della fede, quando dopo aver creduto a chi gli ha insegnato la fede-fiducia, il credente fa la sua dichiarazione di fede. Questo movimento è secondo, perché prima c’è qualcuno che mi dona la fede – la fede finirà sulla terra quando l’ultimo credente smetterà di donarla a qualcuno. [...] 
La fede biblica è credere in Dio credendo alle persone che ci parlano in suo nome mettendoci la faccia. È sempre esperienza comunitaria, un evento che accade in mezzo al popolo, è un rapporto di fiducia. A volte non siamo capaci di credere perché non siamo capaci di fidarci, e l’allenamento alla fiducia inter- umana è un’ottima preparazione alla fede. Chi non si fida di nessuno non crede neanche in Dio, chi si fida poco degli uomini si fida poco anche di Dio, e la fede diventa un atto cognitivo che non cambia la vita. 
Infine il terzo movimento. Entra in scena Dio: «Lo libererò, perché a me si è legato, lo porrò al sicuro, perché ha conosciuto il mio nome. Mi invocherà e io gli darò risposta; nell'angoscia io sarò con lui, lo libererò e lo renderò glorioso. Lo sazierò di lunghi giorni e gli farò vedere la mia salvezza » (91,13-16). Nel formulare la sua promessa, Dio si espone alla possibilità del non avveramento di queste parole, perché la storia è un continuo spettacolo di persone fedeli e giuste che invocano e non hanno risposta, che non sono resi gloriosi, che conoscono il fallimento. E questo perché la fede biblica condivide la stessa vulnerabilità inscritta in ogni rapporto di fiducia vera, che è vera perché vulnerabile. Perché non abbiamo conoscenza diretta di colui di cui ci fidiamo, lo conosciamo solo 'per sentito dire' (Giobbe), lo conosciamo perché lo abbiamo 'sentito dire' da chi ci siamo fidati. Perché sia noi sia Dio cambiamo in continuazione, ogni mattina dobbiamo ricredere a quello che avevamo creduto fino a ieri notte – la fede è un atto di fiducia coniugato al presente. 
Una tappa decisiva della fede matura consiste nel prendere un giorno coscienza che quando pronunciamo la parola 'Dio', la parola più bella, famigliare e intima, non sappiamo cosa stiamo dicendo – ma continuiamo a dirla, perché queste parole possono solo essere amate. Ecco perché all'inizio di alcune grandi vocazioni bibliche c’è un affidamento complicato: Mosè non vuole tornare in Egitto, Geremia recalcitra, Giona fugge, Samuele ha bisogno di quattro chiamate per dire 'eccomi', Elia per rialzarsi e continuare il cammino dovette imparare a udire il silenzio e YHWH dovette imparare a sussurrare. Se l’affidamento della fede non fosse rischioso e vulnerabile la fede non sarebbe un’esperienza autenticamente umana, e diventando credenti diventeremmo meno umani. E chi nella vita ha incontrato una voce che lo/la chiamava e ha risposto, sa che quel rischio è reale ed effettivo, perché sa che qualche volta anche le vocazioni autentiche vanno a male, si smarriscono, si perdono nell'immenso dolore (loro e di Dio). Non sappiamo perché anche le vocazione vere finiscono male. Il fallimento fa parte della condizione umana, e una vocazione infallibile sarebbe semplicemente disumana. 
Ed è questa possibilità che la fede-fiducia riposta in un mistero possa andar male che la rende esperienza umanissima, simile in dignità alla maternità, al nascere e al morire. La nostra fede è esperienza interamente umana per la sua dimensione tragica. Si può essere pienamente umani senza stimare la fede e chi crede, ma non si può credere senza stimare l’umanità, tutta, senza lasciare fuori nulla nel tragitto che porta dall'inferno al paradiso, e ritorno. 
 Questo Salmo fu citato da Satana, nell'episodio delle tentazioni di Cristo: «Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: 'Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra'» (Mt 4,5-6). Satana qui cita il versetto 12 del Salmo 91. E Gesù risponde a Satana ribadendo la natura di affidamento della fede biblica: «Sta scritto anche: 'Non metterai alla prova il Signore Dio tuo'» (Mt 4,7). Un messaggio importante di questo splendido versetto che finisce sulla bocca di Satana è l’eccedenza della Bibbia rispetto ai suoi soli usi buoni. Anche il diavolo conosce bene e usa la stessa scrittura conosciuta e usata dagli evangelisti, a dirci che conoscere e citare la Bibbia non offre nessuna garanzia di vita, né di autenticità di dottrina. C’è un uso diabolico della scrittura, persino dei Salmi e della preghiera, al punto che Satana prende una delle preghiere più sublimi e alte del Salterio per tentare Gesù. L’uso della Bibbia di Gesù e quello di Satana coesistono dentro di noi ne fossimo almeno coscienti! Sta anche qui la vulnerabilità della Bibbia: le sue parole sono lì, esposte nella pubblica piazza del mondo, e chiunque le può usare per pregare, per amare meglio, per imparare a vivere; ma tutti le possiamo usare anche per maledire, per condannare, per tentare, per manipolare gli uomini e Dio, per bestemmiare. Anche Dio si fida di noi, ripone nel nostro cuore le sue parole, e noi possiamo tradirle. Nell'inferno non c’è soltanto 'pape satàn pape satàn aleppe', ci saranno forse anche parole bibliche abusate e violentate. 
Dio, scegliendo di farsi parola, di parlarci in parole umane, ha scelto di condividere la nostra fragilità. Anche in questo ci somiglia. È il quarto movimento della fede. 

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