La domanda radicale sul male, la libertà, la logica del dono

Dante cammina con Virgilio. Nel buio i due incontrano Marco Lombardo, al quale Dante pone un interrogativo. È la domanda radicale: 
Lo mondo è ben così tutto diserto d’ogne virtute, come tu mi sone, e di malizia gravido e coverto; ma priego che m’addite la cagione, sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui; ché nel cielo uno, e un qua giù la pone. 
Il poeta fa i conti con la realtà del male. Ha agito rettamente ed è esule, ama Firenze e non può tornarci. Vede un mondo corrotto, nel quale il Papa e l’Imperatore, che dovrebbero essere le guide universali della sua epoca, si scontrano tra loro invece di collaborare. Chiede allora a Marco Lombardo da dove venga questo male, se dal condizionamento degli astri oppure da noi. È una domanda che racchiude in sé molti altri interrogativi decisivi in ogni epoca. Siamo davvero liberi o c’è qualche forza esterna che ci condiziona? Il mondo è governato dalla libertà umana o dalla necessità di leggi che ci imprigionano? E, ancor più radicalmente, la natura è semplice materia, è un meccanismo inesorabile, o c’è un’eccedenza in noi che ci consente di liberarci dal male e dal limite? Tutti interrogativi che, a ben vedere, rimandano alla domanda ultima di ogni essere umano: qual è il senso della mia vita, del mio agire? 
Marco Lombardo non si sottrae all’interrogativo; la sua risposta è nettissima: 
Voi che vivete ogne cagion recate pur suso al cielo, pur come se tutto movesse seco di necessitate. Se così fosse, in voi fora distrutto libero arbitrio, e non fora giustizia per ben letizia, e per male aver lutto. Il mondo è cieco, dice Marco Lombardo, e non coglie l’eccedenza presente in ogni essere umano: il libero arbitrio. È la libertà di scegliere tra il bene e il male ciò che ci solleva dall’inesorabile meccanismo della materia. È la libertà ciò che accende l’etica e che ci rende umani. Quella libertà che spinge ad azioni apparentemente irragionevoli, ma giuste e di ispirazione per tutti. La libertà risveglia il desiderio di bene che sta al fondo della nostra essenza e che smentisce ogni materialismo. La libertà genera la responsabilità, spinge al sacrificio di sé per amore dell’altro. 
Madre Teresa, il Mahatma Ghandi, ma anche ogni madre che assiste instancabilmente un figlio nel dolore, ogni sconosciuto che si china verso chi soffre senza riceverne un tornaconto, chiunque paghi di persona per difendere la dignità di un fratello: tutti costoro sono immagine splendida di quella libertà che diventa etica del bene. Di fronte alla domanda sulle cause del male, Marco Lombardo interpella direttamente ciascuno di noi: 
Tu da che parte stai? Qual è il colpo d’ala che puoi compiere con la tua libertà? Quale segno di bene puoi lasciare nel mondo? Come Virgilio guida Dante e lo porta a incontrare Marco Lombardo, che parla del libero arbitrio, così la ragione aperta all’amore guida l’uomo alla scoperta della libertà come capacità di trascendere se stessi in nome del bene. 
Ma dove conduce la libertà? 
È questa la terza e ultima tappa del nostro viaggio in Purgatorio XVI. 
La libertà, dice Marco Lombardo, conduce l’anima a casa. Dell’anima si parla infatti così: 
Esce di mano a lui che la vagheggia prima che sia, a guisa di fanciulla che piangendo e ridendo pargoleggia, l’anima semplicetta che sa nulla, salvo che, mossa da lieto fattore, volontier torna a ciò che la trastulla. Di picciol bene in pria sente sapore; quivi s’inganna, e dietro ad esso corre, se guida o fren non torce suo amore. 
L’anima è desiderata da Dio, esce da lui e a lui vuole tornare. L’Amore ci chiama a tornare a casa per essere felici davvero. Ma l’anima incontra un “picciol bene”, vale a dire i beni terreni, e si inganna. I beni terreni sono dono di Dio: Clive Staples Lewis nel suo libro “Sorpreso dalla gioia” parla dei beni terreni come cartelli indicatori verso il Bene totale. Ma l’uomo spesso si ferma al cartello, si aggrappa ad esso, non riesce a lasciarlo andare, come Frodo che non riesce a gettare l’anello del potere nella lava del Monte Fato alla fine del “Signore degli anelli” di Tolkien, che di Lewis era amico. 
È la logica del possesso che si contrappone a quella del dono. Niente è nostro, tutto è per noi, ma se i beni terreni da mezzo diventano a fine, si diventa schiavi. Il denaro diventa avarizia, il cibo diventa gola, l’affettività diventa lussuria: sono questi i tre peccati che si scontano nelle tre cornici superiori del monte del Purgatorio. 
Per uscire dalla logica del possesso e ritrovare la logica del dono servono guide credibili. Servono testimoni come Marco Lombardo. Solo così la nostra anima potrà tornare leggera, libera dall’ansia di tagliare traguardi, di afferrare beni, di vincere sempre; libera da tutte le dinamiche di possesso che inquinano la nostra vita. 
Anche oggi il grido di Dante ci raggiunge: di cosa ti devi liberare per ritrovare la strada di casa, per vivere davvero di amore donato e ricevuto?
Tratto da Avvenire dell'8 ottobre 2024, Il Marco Lombardo di Dante testimone della libertà nel dono, di Marco Erba

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