Cecilia si rispecchiò nel cielo
Cari alunni di seconda, all'inizio del cammino che vi ho proposto alla scoperta di alcuni santi, vi lascio queste due riflessioni. Una è di un poeta che ci presenta santa Cecilia, l'altra è di una donna di straordinaria intelligenza e spiritualità.
«Cecilia parlava spesso col cielo / e il cielo non le rispondeva, non poteva / e nel cielo Cecilia / continuò a rispecchiarsi / fino al giorno in cui la sua immagine / coincise con il celeste specchio». (Antonio Porta, 1935-1989)
«Per quanto cerchiamo di saltare o di volare in alto, noi non riusciremo mai a raggiungere il cielo. Se, invece, ci mettiamo a contemplarlo e a fissarvi il nostro sguardo, il cielo scenderà, ci avvolgerà e ci abbraccerà...».(Simone Weil, scrittrice ebrea).
Gianfranco Ravasi, su Avvenire del 22 novembre, ha commentato così queste riflessioni:
«Purtroppo noi ci siamo curvati sulla terra, ci dedichiamo esclusivamente alle cose, non possiamo perdere tempo fermandoci — nel silenzio di una notte — a guardare quegli spazi infiniti che turbavano Pascal e Leopardi e che evocano il mistero di Dio e dell’uomo, come cantava il Salmista: «Quando il cielo contemplo e la luna e le stelle che accendi nell’alto, io mi chiedo davanti al creato: cos’è l’uomo perché lo ricordi?» (8, 4-5). Chini sulle realtà materiali, senza mai uno sprazzo di luce, di contemplazione, di infinito, diventiamo simili a oggetti, governati dalla sola legge di gravità che ci appiattisce alla terra. Eppure noi viventi siamo fatti della stessa materia delle stelle e alle stelle va implicitamente il nostro “desiderare” (de sideribus)».
Si potrebbe dire che i santi non hanno rinunciato a guardare il cielo, non si sono appiattiti sulle cose materiali, hanno cercato la bellezza che viene dal riconoscere ciò che è vero, buono e giusto. Solo così hanno permesso a Dio di entrare nella loro vita e Dio li ha riempiti di sè.
«Cecilia parlava spesso col cielo / e il cielo non le rispondeva, non poteva / e nel cielo Cecilia / continuò a rispecchiarsi / fino al giorno in cui la sua immagine / coincise con il celeste specchio». (Antonio Porta, 1935-1989)
«Per quanto cerchiamo di saltare o di volare in alto, noi non riusciremo mai a raggiungere il cielo. Se, invece, ci mettiamo a contemplarlo e a fissarvi il nostro sguardo, il cielo scenderà, ci avvolgerà e ci abbraccerà...».(Simone Weil, scrittrice ebrea).
Gianfranco Ravasi, su Avvenire del 22 novembre, ha commentato così queste riflessioni:
«Purtroppo noi ci siamo curvati sulla terra, ci dedichiamo esclusivamente alle cose, non possiamo perdere tempo fermandoci — nel silenzio di una notte — a guardare quegli spazi infiniti che turbavano Pascal e Leopardi e che evocano il mistero di Dio e dell’uomo, come cantava il Salmista: «Quando il cielo contemplo e la luna e le stelle che accendi nell’alto, io mi chiedo davanti al creato: cos’è l’uomo perché lo ricordi?» (8, 4-5). Chini sulle realtà materiali, senza mai uno sprazzo di luce, di contemplazione, di infinito, diventiamo simili a oggetti, governati dalla sola legge di gravità che ci appiattisce alla terra. Eppure noi viventi siamo fatti della stessa materia delle stelle e alle stelle va implicitamente il nostro “desiderare” (de sideribus)».
Si potrebbe dire che i santi non hanno rinunciato a guardare il cielo, non si sono appiattiti sulle cose materiali, hanno cercato la bellezza che viene dal riconoscere ciò che è vero, buono e giusto. Solo così hanno permesso a Dio di entrare nella loro vita e Dio li ha riempiti di sè.
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