Per il lavoro, che stiamo per concludere, alla scoperta delle diverse confessioni cristiane, abbiamo riflettuto sul brano degli Atti che racconta la Pentecoste.
Vi lascio la riflessione di
Valentina della 2^C e quella di
Enzo Bianchi, priore di Bose.
“Costoro che parlano non son forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?”
Questo si chiese la folla stupefatta.
Dato che Dio può tutto, nulla è infatti impossibile a Dio.
Alla domanda: che significa tutto ciò? Io rispondo così:
gli apostoli parlavano e i diversi popoli capivano. Dio ha sempre usato un’unica lingua per esprimersi con i suoi figli e, seppur di diversa nazionalità, la capivano benissimo. La lingua che gli apostoli hanno usato è la lingua dello Spirito Santo cioè la lingua di Dio, il linguaggio dell’amore. Ecco perché tutti capivano. Questo tipo di linguaggio non è estraneo a nessuno, è uguale in tutte le parti del mondo ed è radicato in ciascuno di noi. E’ il linguaggio di DIO!!
(Valentina)
Il miracolo delle lingue suscitato dallo Spirito indica alla chiesa il compito di conciliare l’unità della Parola di Dio con la molteplicità dei modi in cui essa deve essere vissuta e annunciata nell’unica comunità dei credenti e in mezzo a tutte le genti: è così che la chiesa non deve imporre un proprio linguaggio, ma deve entrare nei linguaggi degli uomini per annunciare le meraviglie di Dio secondo le loro diverse forme e modalità di comprensione.
Lo Spirito effuso a Pentecoste impegna ancora oggi la chiesa a creare vie e inventare modi per fare dell’alterità non un motivo di conflitto e di inimicizia, ma di comunione. Così la chiesa, ogni comunità cristiana, potrà essere segno del Regno universale che verrà e a cui è chiamata l’umanità intera attraverso, e non nonostante, le differenze che la attraversano. Tutto questo acuisce la sensibilità e l’attenzione che i cristiani devono avere per l’ecumenismo e il dialogo con le altre religioni. La coscienza delle radici ebraiche della fede cristiana, dell’ebraicità perenne di Gesù, di Israele come popolo dell’alleanza mai revocata e, al tempo stesso la coscienza della destinazione universale della salvezza cristiana, della molteplicità delle genti e delle culture in cui è chiamato a inseminarsi l’evangelo, dovrebbero far parte del corredo di ogni cristiano maturo. Così come dovrebbe farvi parte la consapevolezza che l’ecumenismo è elemento costitutivo della fede del battezzato, chiamato, in quanto seguace di Gesù Cristo, a pregare e operare per rimuovere lo scandalo della divisione tra i cristiani.
(Enzo Bianchi)
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