Uomini in cerca delle tracce di Dio
Arriva l'Epifania e tutte le feste si porta via. Così il detto e, in effetti, eccoci, pronti per ritornare a scuola. A noi delle Marche è andata bene, perchè il rientro è per lunedì.
Immagino che saremo stati presi da tante cose, ma spero che tra cenoni, regali, viaggi (per chi ha potuto), un po' di spazio lo si sia lasciato anche al protagonista di questi giorni di festa. Certo che, come duemila anni fa, il mondo non gli si presenta molto ospitale: chi rimane indifferente, chi si scoccia della sua presenza, chi lo considera un nemico da abbattere. Ieri poi, non dimentichiamocelo, con tutto il rispetto per la Befana, era l'Epifania. Provo un certo fascino per quei re pellegrini che chiamiamo Magi. I Vangeli non ci dicono quanti fossero, nè i loro nomi; qui entra in gioco più la tradizione che il testo biblico. Eppure il messaggio che possiamo ricavare da quei versetti del Vangelo è estremamente ricco, anche per noi uomini e donne di duemila anni dopo. Un messaggio di umiltà, di apertura ad un disegno che ci sovrasta, di riconoscimento di una firma che rimanda ad un altro. Prendo in prestito alcune frasi dall'editoriale di Marina Corradi, pubblicato su Avvenire, a commento dell'omelia del Papa nel giorno dell'Epifania.
"Quegli uomini, ripete Benedetto, cercavano le tracce di Dio, «con gli occhi profondi della ragione alla ricerca del senso ultimo della realtà». Ciò che dovremmo fare noi; ciò che siamo stati disabituati a fare da un positivismo di cui siamo inconsapevolmente intrisi, per cui realtà è solo ciò che possiamo scientificamente misurare, sezionare, scomporre. Cosa sarebbe stata quella stella, in questa logica puramente scientista? Un fenomeno astronomico comunque analizzabile nella sua natura, e archiviabile. Nient’altro: ignorata la profonda natura di “segno”, e nessuno in cammino verso quella grotta.
I Magi, nel loro incerto andare, si rivolgono a Erode; e quello è preso dallo sgomento, all’idea di un re più potente di lui. Quel bambino va dunque soppresso, per restare il padrone del mondo. Ma non c’è forse qualcosa di Erode anche in noi?, chiede sommessamente il Papa. Noi, «ciechi davanti ai suoi segni, perché pensiamo che non ci permetta di disporre della esistenza a nostro piacimento». Già, c’è un che di noi in Erode, il potente che sussulta al sentire della stella, e si affanna a annientare ciò di cui quella stella è segno. Ammettere Dio e un suo disegno riconoscibile nel creato, non è forse il detestabile limite alla totale autonomia dell’uomo, non è la lotta di una modernità che si pretende libera e completamente artefice del suo destino?".
Immagino che saremo stati presi da tante cose, ma spero che tra cenoni, regali, viaggi (per chi ha potuto), un po' di spazio lo si sia lasciato anche al protagonista di questi giorni di festa. Certo che, come duemila anni fa, il mondo non gli si presenta molto ospitale: chi rimane indifferente, chi si scoccia della sua presenza, chi lo considera un nemico da abbattere. Ieri poi, non dimentichiamocelo, con tutto il rispetto per la Befana, era l'Epifania. Provo un certo fascino per quei re pellegrini che chiamiamo Magi. I Vangeli non ci dicono quanti fossero, nè i loro nomi; qui entra in gioco più la tradizione che il testo biblico. Eppure il messaggio che possiamo ricavare da quei versetti del Vangelo è estremamente ricco, anche per noi uomini e donne di duemila anni dopo. Un messaggio di umiltà, di apertura ad un disegno che ci sovrasta, di riconoscimento di una firma che rimanda ad un altro. Prendo in prestito alcune frasi dall'editoriale di Marina Corradi, pubblicato su Avvenire, a commento dell'omelia del Papa nel giorno dell'Epifania.
"Quegli uomini, ripete Benedetto, cercavano le tracce di Dio, «con gli occhi profondi della ragione alla ricerca del senso ultimo della realtà». Ciò che dovremmo fare noi; ciò che siamo stati disabituati a fare da un positivismo di cui siamo inconsapevolmente intrisi, per cui realtà è solo ciò che possiamo scientificamente misurare, sezionare, scomporre. Cosa sarebbe stata quella stella, in questa logica puramente scientista? Un fenomeno astronomico comunque analizzabile nella sua natura, e archiviabile. Nient’altro: ignorata la profonda natura di “segno”, e nessuno in cammino verso quella grotta.
I Magi, nel loro incerto andare, si rivolgono a Erode; e quello è preso dallo sgomento, all’idea di un re più potente di lui. Quel bambino va dunque soppresso, per restare il padrone del mondo. Ma non c’è forse qualcosa di Erode anche in noi?, chiede sommessamente il Papa. Noi, «ciechi davanti ai suoi segni, perché pensiamo che non ci permetta di disporre della esistenza a nostro piacimento». Già, c’è un che di noi in Erode, il potente che sussulta al sentire della stella, e si affanna a annientare ciò di cui quella stella è segno. Ammettere Dio e un suo disegno riconoscibile nel creato, non è forse il detestabile limite alla totale autonomia dell’uomo, non è la lotta di una modernità che si pretende libera e completamente artefice del suo destino?".
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