Il metodo di Dio
Partendo dalla Seconda Lettera ai Corinzi di Paolo – quella in cui l’apostolo delle genti parla della sua 'spina', della oscura sofferenza che lo tormenta, e però conclude «quando sono debole, è allora che sono forte» – il Papa ha ricordato che proprio quando si sperimenta la propria debolezza si manifesta la forza di Dio. «Non è la potenza dei nostri mezzi, delle nostre virtù, delle nostre capacità che realizza il regno di Dio, ma è Dio che opera meraviglie attraverso la nostra debolezza, la nostra inadeguatezza», ha detto.
Il 'metodo' di Dio dunque non si fonda sulla nostra bravura o coerenza, ma proprio, dentro alla preghiera, sul riconoscersi poveri e impotenti, e quindi domandare. E certo, lo aveva già insegnato Paolo; ma quanto noi cristiani continuamente ce lo dimentichiamo. Quanti, e magari fra i più assidui in chiesa, ne incontri, fieri delle proprie virtù, e amareggiati magari dal come stranamente quelle virtù non si trasmettano ai figli, che se ne vanno per un’altra strada. E l’amarezza, allora: siamo stati fedeli, coerenti, casti, siamo stati 'bravi', e cosa ci ritroviamo fra le mani? (Quell’amarezza che poi allontana anche chi si avvicini, perché non è mai la tristezza, che affascina e converte).
La oscura spina di cui scrive Paolo ai Corinzi contiene lo straordinario metodo di Dio, che, si direbbe, attende semplicemente che noi allunghiamo verso di lui la mano, come fanno i bambini con la madre, quando sono caduti. L’umiltà di quella mano vuota, è il vuoto che Dio riempie con la sua grazia. Grazia che moltiplica i frutti dell’opera degli uomini; come accadde a Paolo, perseguitato, incarcerato, che pure contagiò con il cristianesimo tutte le terre in cui mise piede. Paolo, che se avesse fatto conto solo su se stesso sarebbe stato, dalla storia, da tempo dimenticato. Paolo, che proprio come noi avrebbe voluto essere, dal suo male, semplicemente liberato; giacché poi – pensava, come noi – allora sì, sarebbe stato forte, libero, potente. E invece nella compagnia di una a noi sconosciuta sofferenza imparò l’abbandono, e la domanda del bambino; imparò in sé il metodo di Dio.
Marina Corradi da Avvenire del 15 giugno 2012
Marina Corradi da Avvenire del 15 giugno 2012
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