Il timor di Dio che non c'è più, ovvero in fuga da Dio

Giorgio De Simone, si chiede, sulle colonne di Avvenire del 28 maggio se esiste ancora il timor di Dio. Anch'io, come lui, me lo chiedo ogni volta che sento o leggo di vite distrutte dalle azioni di qualcuno. Come l'editorialista citato, mi è stato insegnato che era male compiere qualcosa che dispiacesse a Dio. Oggi, che sono cresciuta, non penso che "altrimenti Dio piange", ma sento che a Lui dovrò rendere conto del mio Amore mancato o negato. Questo è per me il timor di Dio, il timore, cioè, di sprecare la vita che mi è stata donata.
Ben pochi, oggi, sembrano temere Dio. Nessuno, prima di compiere un gesto sconsiderato, ma anche prima di ingannare, rubare o rubacchiare, falsare, mentire, tradire e fare il furbo si chiede se Dio, da qualche parte, lo sta vedendo. Il timor di Dio è stato eliminato dall'orizzonte dell’agire umano. Eppure il timor di Dio è scritto ovunque. Scritto da tutte le parti nella Bibbia - prosegue De Simone - a cominciare da Adamo che ha paura e si nasconde quando sente nel giardino il passo del Signore. Ma se «il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò timore?» dice Davide. Al roveto ardente Mosè si vela il volto perché ha paura di guardare verso Dio, poi al popolo dice: «Il suo (di Dio) timore vi sia sempre presente». Dai Salmi viene l’invocazione: «Beato l’uomo che teme il Signore». «Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore» raccomanda Paolo ai Filippesi. Sentirsi al riparo da ogni male è per don Bosco il timor di Dio. Eccetera. Ricordate i Promessi Sposi? Il timor di Dio è nei pensieri di Agnese, come di Renzo, fra Cristoforo, don Abbondio, Lucia, un po’ tutti. È la Provvidenza stessa che, per manifestarsi, lo prevede. Non può chi non teme Dio sperarne l’ausilio.
Oggi - conclude De Simone - abbiamo paura di un sacco di cose: della malattia, della povertà, della precarietà, della sofferenza, perfino della sfortuna, della vecchiaia e, naturalmente, della morte. Di tutto, tranne che di Dio. Ed è chiaro che non temere Dio vuol dire vivere come se Dio non ci fosse. E vuol dire, anche e soprattutto, rinunciare a un Dio che ci è padre. Lo si ama il padre, ma pure lo si teme, tutti abbiamo certo amato, ma anche temuto nostro padre. Sicché oggi questo vasto azzeramento del timor di Dio non vuol dire esserci affrancati da una presenza opprimente, ma rischiare di essere rimasti orfani del miglior Padre che potevamo, che possiamo e che potremmo avere.
Aggiungo alla acuta analisi di De Simone un mio pensiero: come nella parabola del Padre misericordioso, siamo come il figlio minore che cerca la sua libertà allontanandosi dal padre senza indugio e con la pretesa di sapere tutto sulla vita e della vita. Ma dove ci porterà questa nostra fuga da Dio? Siamo sicuri che farà di noi delle persone migliori? Oppure, come nella parabola citata, finiremo per perdere la nostra dignità?


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