Su accanimento teraupetico ed eutanasia

Il rifiuto dell’accanimento terapeutico è legittimato dal magistero bioetico della Chiesa, come insegna il Catechismo: «L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire». La Chiesa è certamente per la vita, ma non per la vita a ogni costo. C’è un 'costo' clinico umanamente e teologicamente inaccettabile. Umanamente perché gravoso, non atto a curare, non dignitoso e rispettoso della persona. Teologicamente perché volto a contrastare il disegno di Dio su ognuno, che abbraccia anche il morire, da accogliere e vivere in naturale libertà. I mezzi teraupetici vanno distinti in proporzionati e sproporzionati rispetto ai loro effetti. I primi sono doverosi perché, anche se non guariscono, curano. Essi sono un valido sostegno al vivere della persona malata. Rinunciare a essi è atto soppressivo della vita: è eutanasia omissiva. Ai mezzi straordinari invece si può e, per non cadere nell’accanimento terapeutico, si deve rinunciare. Essi infatti danno luogo a un prolungamento forzoso e penoso della vita. L'accanimento teraupetico non consente alla vita di fare il suo decorso, fino al suo atto ultimo, il morire. L'eutanasia è invece interruzione della vita.
Per chiarire ancora meglio: l'eutanasia è "la morte ad ogni costo", l'accanimento terapeutico è "la vita ad ogni costo".
Perché equiparare il rifiuto dell’accanimento terapeutico a una scelta eutanasica? Perché far passare la delegittimazione dell’eutanasia come la privazione di un diritto? La morale cattolica, come ogni etica centrata sul valore indisponibile e inviolabile della persona, non può ammettere un diritto a morire. Ma un diritto a morire con dignità umana e cristiana sì. È quanto fa la Chiesa con la delegittimazione dell’eutanasia da una parte e dell’accanimento terapeutico dall’altra. Di questa dignità umana e cristiana del morire sono stati testimoni il cardinal Martini e il Beato Giovanni Paolo II, anche la sua morte assoggettata a una strumentalizzazione pro-eutanasica. Il modo come hanno affrontato la malattia e la loro rinuncia all’accanimento terapeutico sono un brano di quel Vangelo della vita che hanno insegnato e vissuto.

Liberamente adattato da "Quella cristiana testimonianza della dignità del morire" di Mauro Cozzoli (Avvenire del 4 settembre 2012)

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