Norma come Antigone

Dal libro «L’eredità di Antigone. Storie di donne martiri per la libertà» di Riccardo Michelucci (edizioni Odoya). Articolo pubblicato su Avvenire del 16 marzo 2013.

Massa Marittima, 9 maggio 1944. In lontananza non si sente più il rumore delle e­splosioni. Sembra una giornata nor­male, almeno fino a quando quella cal­ma apparente non viene rotta dalle gri­da scomposte di un branco di soldati tedeschi e militi repubblichini. Stanno trascinando il cadavere straziato di un giovane partigiano per le vie del cen­tro cittadino. Lo abbandonano con di­sprezzo sul selciato della piazza del Duomo e nessuno osa avvicinarsi, neanche quando la banda di carnefi­ci si è ormai allontanata. L’unica che non fugge è una giovane donna di­ventata madre da pochi mesi. La sua coscienza le impedisce di assistere im­passibile, di fingere di non aver visto. Si avvicina per recuperare i poveri re­sti di quel partigiano, ne compone le spoglie, poi cerca qualcuno che l’aiu­ti a portarle via con un carro di fortu­na per provvedere alla tumulazione della salma nel cimitero comunale, sfi­dando apertamente il diniego delle au­torità. Poi avvisa i familiari del ragaz­zo, che abitano a una cinquantina di chilometri di distanza, facendo ritar­dare il seppellimento fino al loro arri­vo. Come Antigone, che andò incon­tro alla morte preferendo obbedire al­le leggi degli dei piuttosto che a quel­le degli uomini, anche Norma Parenti non ebbe alcun dubbio quando si trovò di fronte quel cadavere marto­riato. Sfidando il divieto di Creonte, re di Tebe, l’eroina di Sofocle si era reca­ta al campo di battaglia per dare degna sepoltura a suo fratello. Arrestata e por­tata al cospetto del re, Antigone si era detta fiera di aver obbedito alle leggi dettate dalla natura e dalla propria co­scienza, e per questo era stata con­dannata a morte. Con la stessa fierez­za priva di esitazioni, con lo stesso i­stintivo coraggio, Norma rifiutò le re­gole imposte da un potere violento, raccogliendo le spoglie del giovane partigiano, e facendo di tutto per con­segnarle alla terra, senza curarsi delle conseguenze del suo gesto.
Norma con il marito Mario
immagine tratta da Avvenire
Nata 23 anni prima nel cuore della Ma­remma Toscana, fin da piccola Norma Parenti aveva respirato in famiglia i valori della fede cattolica, dell’amore per la patria e per la libertà. Nella sua breve vita riuscirà a essere allo stesso tempo una moglie, una madre e una partigiana diventando una martire dei nostri tempi dopo essere stata fucila­ta dai nazisti. Quando, a partire dal­l’autunno 1943, la sequenza degli e­venti prende un’accelerazione deci­siva, Norma è agli ultimi mesi di gra­vidanza ma sente di dover contribui­re alla lotta di Liberazione. Inizia a oc­cuparsi dei rifornimenti ai partigiani e della diffusione dei volantini anti­fascisti e dei documenti clandestini del Comitato di Liberazione Nazio­nale. Nei primi mesi del 1944 diventa una staffetta al servizio del raggrup­pamento 'Amiata' della III Brigata Garibaldi. Trasporta viveri, armi e mu­nizioni, reca ordini al comando parti­giano, muovendosi sempre a piedi, al­la luce del giorno, nascondendo spes­so i suoi carichi proibiti sotto la car­rozzina del bambino. Dà rifugio ai par­tigiani braccati e ai perseguitati dal re­gime e riesce a salvare decine di ricer­cati politici, di ebrei e di disertori na­scondendoli nel fienile del magazzino di famiglia. La sua attività di propa­ganda partigiana la espone a rischi sempre maggiori, e sorprende la sua caparbia volontà di agire alla luce del sole, di affrontare il nemico a viso a­perto, di non nascondersi. La vendetta contro di lei si consuma la sera prima dell’arrivo degli Alleati, il 23 giugno, quando i nazifascisti vanno a prenderla a casa sua e la portano via a suon di spinte e percosse, verso le vi­cine mura cittadine. Da questo mo­mento in poi, possiamo soltanto far convergere realtà storica e immagina­zione, provando a dare forma ai suoi ultimi pensieri e a quella parte della sua vita che solo lei avrebbe potuto raccontare. Con la forza della dispera­zione cerca di allontanare la paura, mentre i suoi aguzzini la spingono ver­so una ripida strada sterrata che scen­de verso la valle. Con le sue preghiere prova a coprire i volgari schiamazzi di quegli uomini. Chiede alla Madonna di portarla lontano da quel luogo, di far­le rivedere suo figlio, di poterlo culla­re ancora una volta tra le sue braccia. Poi, mentre una luna piena dalla luce rossastra il­lumina il cielo, il gruppo scen­de la strada per poche centi­naia di metri e si ferma a ri­dosso di un podere circonda­to dagli ulivi. È un luogo che Norma conosce bene, anche se adesso le appare assai di­verso dal solito. Le grida degli scalmanati intorno a lei sono diventate improvvisamente mute, e non riesce più a sentirle. L’u­nica cosa che risuona nella sua men­te, dandole conforto, è un brano del Vangelo di Matteo. «Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Get­sèmani, e disse ai discepoli: sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». In quel preciso istante Norma capisce che il Signore le darà la forza di af­frontare la Passione che si prospetta davanti a lei. Il suo cadavere viene ritrovato la mat­tina seguente, giorno della Liberazio­ne, e una processione spontanea, che diventa presto interminabile, si met­te in moto verso casa sua per render­le omaggio. L’Italia uscita dalla guerra onorerà la sua memoria conferendo­le la medaglia d’oro al valor militare.

Su Antigone vi invito a rileggere un post del passato. Cliccate qui.

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