Il Dio bambino ci rende tutti fratelli

di Maurizio Patriciello, da Avvenire del 28 dicembre 2010.

Dio non è stanco degli uomini. Non lo è mai stato. Dio è un inguaribile, questuante sognatore. Anche quando l’uomo non gli vuole bene, anche quando gli chiude la porta in faccia, non desiste. Con ferma discrezione lo cerca, insiste, bussa, chiede.
Gioca d’azzardo e punta tutto su di noi, sulla nostra riuscita, sulla convinzione che alla fine gli getteremo le braccia al collo. Non smette di desiderare chi creò a Sua immagine. È suo. È uscito dalle Sue mani. Lo ama. Ha bisogno di lui. Senza la Sua creatura più preziosa anche Dio sembra essere infelice. Come noi. Anche in questo ci somiglia tanto. È capace di bussare a un cuore ermeticamente chiuso per una intera vita, senza mai perdere la speranza di essere un giorno accolto. La speranza, che tiene in vita anche i cuori più vecchi e induriti, non lo abbandona mai. Non molla la Sua preda. Non ci lascia in balia di noi stessi. Sa bene che senza i Suoi doni non saremmo capaci nemmeno di emettere un respiro, nemmeno di peccare.
Dio è un galantuomo che non umilia i Suoi figlioli. Che gode nel vederli felici e soffre quando il dolore li sovrasta. Se non forza la nostra immotivata resistenza è perché non può. Nemmeno Lui può fare sempre ciò che vuole.
Mantiene la promessa fatta e rispetta la nostra libertà. Anche quando – e succede infinite volte! – l’uomo ne ha fatto una clava per colpire a morte i suoi fratelli più piccoli e indifesi. Anche quando l’ha usata per inchiodare il Suo figlio prediletto sull’infame legno della croce. Mistero grande che ci rende immensi. Dio resiste, non interviene al grido straziante che dal Golgota si espande per il mondo, accettando di apparire lontano e disinteressato.
Avrebbe voluto risparmiare a Suo figlio la tortura; avrebbe voluto impedire a noi di cadere nella fogna del peccato; avrebbe voluto sterminare i campi di sterminio, ma non ha potuto. È la scandalosa impotenza della Sua onnipotenza. È la debolezza del Creatore davanti alla Sua creatura. L’ha voluta libera, grande e le ha affidato ciò che aveva di più prezioso: il creato, la vita, il Vangelo, i Sacramenti. Volle che Suo figlio fosse portato in grembo e partorito da una donna della nostra stirpe, proprio come noi. Sua mamma, a ben guardare, è tanto simile alla nostra.
Il tempo di Natale. Anche chi non crede non riesce a sottrarsi al fascino del Dio Bambino.
Nonostante i mille dubbi. Dubbi legittimi che fanno diventare più uomo l’uomo. Dove c’è il dubbio, infatti, c’è un animo che cerca. Un animo che non si accontenta di ciò che cade sotto i sensi, ma cerca un Oltre, un senso vero da dare alla sua vita e a quella altrui. Natale deve trovare pensoso chi non crede e commosso, stupito e orante chi ha avuto, senza merito alcuno, il dono della fede.
Il Dio Bambino, in un modo misterioso, ci affratella tutti. Davanti alla grotta di Betlemme si inteneriscono anche i cuori più incalliti. Il Bimbo deposto nella mangiatoia è nato per noi. Dio si è fatto uomo perché l’uomo comprenda finalmente che la sua vera vocazione è essere come Lui. Il tempo di Natale allontana la paura di un Dio misterioso, avvolto nelle tenebre. La stella che guida i Magi illumina il cammino dell’intera umanità. Il presepe ci ricorda che tutti i bambini del mondo ci appartengono. Che «l’essere umano è uno solo e l’umanità è una sola» e che «ciò che in qualsiasi luogo viene fatto contro l’uomo, alla fine ferisce tutti». A Natale ci si sente più buoni e generosi. È vero.
Per questo siamo chiamati a volgere lo sguardo ai bambini più negletti, abusati, tormentati sparsi per il mondo. Il cielo si commuove e si abbassa per baciare la terra e ognuno di noi.
Lasciamoci amare dal Verbo fatto carne, perché possiamo anche noi amare Lui e i fratelli. In fondo vive veramente solo chi si sente amato e ama.

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