Le religioni lanciano un appello al dialogo
Durante i primi giorni di Ottobre, a Barcellona erano riuniti i rappresentanti di diverse religioni, per il meeting che la Comunità di Sant'Egidio organizza ogni anno, dopo quell'evento memorabile che fu l'incontro di Assisi. Vi ricordate? Mi riferisco alla Giornata di Preghiera che vide nel 1986 la città del Poverello illuminarsi dei colore delle diverse vesti dei rappresentanti delle religioni del mondo. Da ormai 25 anni Sant'Egidio ha promosso incontri, in molte città europee e mediterranee, perchè lo spirito di fraternità di quei giorni potesse continuare e rinnovarsi. Quest'anno è toccato a Barcellona essere la capitale del dialogo tra le diverse fedi e religioni. "Le religioni - ha detto Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio - possono innervare la coscienza di un mondo come casa comune dei popoli".
Vi propongo l’appello inviato dai partecipanti a questo meeting.
"Uomini e donne di religione diversa, provenienti da tante parti del mondo, ci siamo riuniti a Barcellona, in una terra che celebra con l’arte la bellezza della famiglia di Dio e della famiglia dei popoli, per invocare dall’Altissimo il grande dono della pace.
Alle nostre spalle sta un decennio difficile. È stato un tempo in cui il mondo ha creduto più nella contrapposizione e nel conflitto che nel dialogo e nella pace. Abbiamo presenti le paure di tanti uomini e donne in molte parti del mondo, il dolore di guerre che non hanno portato la pace, le ferite inferte dal terrorismo, il malessere di società colpite dalla crisi del lavoro e dall’incertezza del futuro, la sofferenza di tanti poveri che bussano a un mondo più ricco e che trovano, spesso, porte chiuse e diffidenza.
Il nostro mondo è disorientato dalla crisi di un mercato che si è creduto onnipotente, e da una globalizzazione a volte senz’anima e senza volto. La globalizzazione è invece un’occasione storica. Unisce mondi lontani, ma deve trovare un’ispirazione generosa. Si è accompagnata invece alla paura, alla guerra, alla chiusura verso l’altro, al timore di perdere la propria identità.
Si deve aprire un nuovo decennio in cui il mondo globalizzato diventi una famiglia di popoli. Questo mondo ha bisogno di anima. Ma soprattutto ha bisogno di pace. La pace è il nome di Dio. Non è qualcosa di superficiale.
Viene dal profondo di ogni tradizione religiosa. Chi usa il nome di Dio per odiare e umiliare l’altro abbandona la religione pura. Chi invoca il nome di Dio per fare la guerra e per giustificare la violenza va contro Dio. Nessuna ragione o torto subito giustificano mai l’eliminazione dell’altro. Dal profondo delle nostre identità religiose e da storie diverse, dalla preghiera vissuta gli uni accanto agli altri, possiamo dire al mondo: abbiamo bisogno di vivere insieme un destino comune. Le religioni testimoniano che esiste un destino comune dei popoli e degli uomini. Questo destino si chiama pace.
Attraverso il dialogo si realizza quel destino comune che è la pace. Il dialogo è la via per ritrovarlo e costruirlo. Protegge ognuno di noi e mantiene umani in un tempo di crisi. Il dialogo non è ingenuità. È la capacità di vedere lontano anche quando tutti guardano solo vicino e, per questo, si sentono soli, rassegnati, spaventati. Il dialogo non indebolisce, ma rafforza. È la vera alternativa alla violenza. Niente è perduto con il dialogo. Tutto diventa possibile, anche immaginare la pace. In una società in cui sempre più gente diversa vive insieme, è necessario imparare l’arte del dialogo. Non indebolisce l’identità di nessuno e fa riscoprire il meglio di sé e dell’altro. Le nostre società hanno bisogno di imparare di nuovo l’arte di vivere insieme.
Dopo queste giornate siamo sempre più convinti che un mondo senza dialogo non è un mondo migliore. Abbiamo bisogno di pace e non c’è pace senza dialogo. La pace è il dono più grande di Dio. La pace ha bisogno di preghiera. Nessun odio, nessun conflitto, nessun muro può resistere alla preghiera, all’amore paziente che si fa dono e perdono, mentre educa in radice a costruire un mondo in cui non tutto è mercato e quello che conta non si compra e non si vende.
Vogliamo entrare nel decennio che si apre con la forza dello Spirito, per creare un tempo di speranza per il mondo. C’è bisogno di speranza. Ma noi abbiamo speranza. La nostra speranza viene da lontano e guarda al futuro. Un destino comune è l’unico destino possibile. Che questo possa essere il decennio della pace, del dialogo e della speranza".
Vi propongo l’appello inviato dai partecipanti a questo meeting.
"Uomini e donne di religione diversa, provenienti da tante parti del mondo, ci siamo riuniti a Barcellona, in una terra che celebra con l’arte la bellezza della famiglia di Dio e della famiglia dei popoli, per invocare dall’Altissimo il grande dono della pace.
Alle nostre spalle sta un decennio difficile. È stato un tempo in cui il mondo ha creduto più nella contrapposizione e nel conflitto che nel dialogo e nella pace. Abbiamo presenti le paure di tanti uomini e donne in molte parti del mondo, il dolore di guerre che non hanno portato la pace, le ferite inferte dal terrorismo, il malessere di società colpite dalla crisi del lavoro e dall’incertezza del futuro, la sofferenza di tanti poveri che bussano a un mondo più ricco e che trovano, spesso, porte chiuse e diffidenza.
Il nostro mondo è disorientato dalla crisi di un mercato che si è creduto onnipotente, e da una globalizzazione a volte senz’anima e senza volto. La globalizzazione è invece un’occasione storica. Unisce mondi lontani, ma deve trovare un’ispirazione generosa. Si è accompagnata invece alla paura, alla guerra, alla chiusura verso l’altro, al timore di perdere la propria identità.
Si deve aprire un nuovo decennio in cui il mondo globalizzato diventi una famiglia di popoli. Questo mondo ha bisogno di anima. Ma soprattutto ha bisogno di pace. La pace è il nome di Dio. Non è qualcosa di superficiale.
Viene dal profondo di ogni tradizione religiosa. Chi usa il nome di Dio per odiare e umiliare l’altro abbandona la religione pura. Chi invoca il nome di Dio per fare la guerra e per giustificare la violenza va contro Dio. Nessuna ragione o torto subito giustificano mai l’eliminazione dell’altro. Dal profondo delle nostre identità religiose e da storie diverse, dalla preghiera vissuta gli uni accanto agli altri, possiamo dire al mondo: abbiamo bisogno di vivere insieme un destino comune. Le religioni testimoniano che esiste un destino comune dei popoli e degli uomini. Questo destino si chiama pace.
Attraverso il dialogo si realizza quel destino comune che è la pace. Il dialogo è la via per ritrovarlo e costruirlo. Protegge ognuno di noi e mantiene umani in un tempo di crisi. Il dialogo non è ingenuità. È la capacità di vedere lontano anche quando tutti guardano solo vicino e, per questo, si sentono soli, rassegnati, spaventati. Il dialogo non indebolisce, ma rafforza. È la vera alternativa alla violenza. Niente è perduto con il dialogo. Tutto diventa possibile, anche immaginare la pace. In una società in cui sempre più gente diversa vive insieme, è necessario imparare l’arte del dialogo. Non indebolisce l’identità di nessuno e fa riscoprire il meglio di sé e dell’altro. Le nostre società hanno bisogno di imparare di nuovo l’arte di vivere insieme.
Dopo queste giornate siamo sempre più convinti che un mondo senza dialogo non è un mondo migliore. Abbiamo bisogno di pace e non c’è pace senza dialogo. La pace è il dono più grande di Dio. La pace ha bisogno di preghiera. Nessun odio, nessun conflitto, nessun muro può resistere alla preghiera, all’amore paziente che si fa dono e perdono, mentre educa in radice a costruire un mondo in cui non tutto è mercato e quello che conta non si compra e non si vende.
Vogliamo entrare nel decennio che si apre con la forza dello Spirito, per creare un tempo di speranza per il mondo. C’è bisogno di speranza. Ma noi abbiamo speranza. La nostra speranza viene da lontano e guarda al futuro. Un destino comune è l’unico destino possibile. Che questo possa essere il decennio della pace, del dialogo e della speranza".
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