La Bibbia: il grande Codice della cultura occidentale

Nel campus di Toronto, fra i praticelli dove scoiattoli bruni o castani passeggiano arrampicandosi sugli alberelli, un distinto signore siede sulla panchina, con gli occhiali un po’ abbassati sul naso, tenendo aperto un libro tra le mani, tolto da una pila che tiene accanto. È Northrop Frye, o meglio la statua di bronzo del grande critico scomparso nel 1991, autore del saggio che ha reso familiare a un largo pubblico la promozione della Bibbia a 'grande codice' della cultura occidentale. Non si può resistere alla tentazione di sedersi accanto a lui, sulla panchina, per una foto ricordo, ma anche per spiare se il libro bronzeo sia aperto su un salmo o su una parabola, sulla storia di Giobbe o sull’Apocalisse, o sulle loro riscritture nelle letterature moderne. Non stupisce che l’università di Toronto, in cui ha esercitato il suo magistero, abbia dedicato un convegno al rapporto tra letteratura italiana e religione. Toronto non è solo la maggior metropoli del Canada: con i suoi 600 mila italocanadesi è una delle più grandi comunità di nostri conterranei oltre confine, e il Dipartimento di Italian Studies della sua università è da anni uno di più attivi. Nelle tre fitte e vivaci giornate del consesso si sono alterrnati al microfono studiosi americani e italiani, oltre ai promotori: Salvatore Bancheri, Franco Pierno, Francesco Guardiani, Anthony Cristiano. Invece di dare un resoconto dei numerosi e ricchi interventi, impresa qui impossibile, mi limito a segnalare le impressioni complessive che ne ho ricavato.
Primo: i tempi sono maturi per riconoscere che ignorare la religione nello studio della nostra letteratura significa amputarla e anche deformarla. Geniale ma fazioso, De Sanctis la faceva partire dal contrasto di Cielo d’Alcamo, un irriverente testo laicista e maschilista, mentre oggi nessuno nega che è incominciata con il Cantico di Francesco e la Lauda di Jacopone, un salmo in volgare e un dramma-preghiera.
Secondo: la religione irrora la letteratura non solo nel genere dei trattati teologici e delle preghiere, dei quaresimali e dei libri di devozione – la «Letteratura religiosa» oggetto del recente volume di Rita Librandi, edito dal Mulino –, ma la letteratura senza aggettivi, quella dei massimi autori, trattata nell’opera collettiva sulla Bibbia nella letteratura italiana, pubblicata dalla Morcelliana, su cui verteva la relazione inaugurale del convegno. Senza religione non si perdono solo Savonarola o Alfonso de’ Liguori, che già sarebbe una mutilazione grave, ma non si intenderebbero appieno Dante e Petrarca, gli umanisti e Tasso, Metastasio e Manzoni, e neppure i cosiddetti 'lontani', da Leopardi a Pirandello.
Quanto ai contemporanei, echi del sacro sono stati colti dai relatori, nei poeti, da Rebora a Luzi, ma anche in un cantautore, De André, e nei registri, da Rossellini a Moretti: due generi che oltre Oceano sono spesso studiati nel loro intreccio con la letteratura. Com’era da aspettarsi, l’autore più trattato a Toronto è stato Dante, che ai critici americani interessa soprattutto per le implicazioni teologiche, in polemica contro quelli, per pregiudizi crociani o avversione ideologica, vorrebbero separare la poesia dalla profezia. Come disconoscere che la pronta recezione del Purgatorio, ignorato dai coevi poemi sull’aldilà, è un grande acquisto umanistico oltre che teologico? Una costante emersa negli scrittori considerati è il confronto con la Parola sacra, reinterpretata e fatta propria, per dare un senso alla loro parola, per giustificarla, 'renderla giusta', e cogliervi significati nuovi e fermenti lievitanti.
FONTE: PIETRO GIBELLINI in Avvenire del 09/11/2012

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