Nessun sonno dura per sempre
Oggi si pensa che ai più piccoli si debba nascondere la morte. Eppure sono proprio loro, i bambini, ad avere la percezione che non è possibile che chi si è amato svanisca nel nulla.
Dall'editoriale di Marina Corradi, pubblicato su Noi, genitori & figli, supplemento di Avvenire del 28 ottobre 2012:
«Diventata grande, un giorno ho portato con me al cimitero il mio primo figlio, che non aveva ancora tre anni. Me ne andavo per i viali del Monumentale di Milano con lui per mano e a capo chino, soggiogata dalla inesorabilità delle tombe, di quella infinita catena di nomi con accanto due date, e una croce. Come svagatamente Pietro mi domandò chi erano, quei signori nelle foto sulle lapidi. " Sono persone che sono morte, e ora dormono", gli risposi, con un confuso imbarazzo. Lui non disse niente. Continuammo a camminare per i viali, i nostri passi scricchiolanti, nel silenzio, sulla ghiaia. Pietro guardava le facce di uomini e donne vissuti cento anni prima. Poi dal basso la sua voce infantile: "Dormono? E quando si svegliano?" Come se fosse del tutto ovvio a lui, nei suoi tre anni, che nessun sonno è per sempre. Pensiamo sempre di essere noi, a dover insegnare ai bambini. Ma è possibile che a volte abbiano loro qualcosa da insegnare a noi. Quando sono piccoli, e, ancora, portano addosso una impronta che negli adulti il tempo e la vita cercano di cancellare. Una memoria e una speranza tranquilla, come del tutto naturale. "Dormono? E quando si svegliano?" Ricordo che abbracciai Pietro, quel giorno; e che lui sembrava non capire il perché di quella mia improvvisa contentezza. Ero, semplicemente, grata: che un figlio fosse venuto,a ricordarmi com'ero».
Dall'editoriale di Marina Corradi, pubblicato su Noi, genitori & figli, supplemento di Avvenire del 28 ottobre 2012:
«Diventata grande, un giorno ho portato con me al cimitero il mio primo figlio, che non aveva ancora tre anni. Me ne andavo per i viali del Monumentale di Milano con lui per mano e a capo chino, soggiogata dalla inesorabilità delle tombe, di quella infinita catena di nomi con accanto due date, e una croce. Come svagatamente Pietro mi domandò chi erano, quei signori nelle foto sulle lapidi. " Sono persone che sono morte, e ora dormono", gli risposi, con un confuso imbarazzo. Lui non disse niente. Continuammo a camminare per i viali, i nostri passi scricchiolanti, nel silenzio, sulla ghiaia. Pietro guardava le facce di uomini e donne vissuti cento anni prima. Poi dal basso la sua voce infantile: "Dormono? E quando si svegliano?" Come se fosse del tutto ovvio a lui, nei suoi tre anni, che nessun sonno è per sempre. Pensiamo sempre di essere noi, a dover insegnare ai bambini. Ma è possibile che a volte abbiano loro qualcosa da insegnare a noi. Quando sono piccoli, e, ancora, portano addosso una impronta che negli adulti il tempo e la vita cercano di cancellare. Una memoria e una speranza tranquilla, come del tutto naturale. "Dormono? E quando si svegliano?" Ricordo che abbracciai Pietro, quel giorno; e che lui sembrava non capire il perché di quella mia improvvisa contentezza. Ero, semplicemente, grata: che un figlio fosse venuto,a ricordarmi com'ero».
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