Mai più la pena di morte
La Comunità di Sant'Egidio ha organizzato il VII Congresso internazionale dei Ministri della Giustizia “Per un mondo senza pena di morte”.
Vi riporto l'articolo pubblicato su Avvenire del 28 novembre, a firma di Giovanni Ruggiero.
Basterebbero storie come quella di Marat Rakhmanov per opporsi alla pena di morte. A 28 anni, questo giovane russo finì nel braccio della morte accusato di un duplice omicidio che non aveva commesso. Un abile avvocato lo strappò dalle mani del boia. Adesso porta la sua testimonianza al VII Congresso internazionale dei ministri della Giustizia, «Per un mondo senza pena di morte», voluto dalla Comunità di Sant’Egidio che da anni si batte per l’abolizione nel mondo della pena capitale. A Roma sono presenti i ministri di venti Paesi. Alcuni di questi prevedono la pena di morte ma hanno applicato una moratoria, come lo Zimbabwe, abolizionista de facto. Significativa la testimonianza del ministro di questo Stato, Theresa Makone, che cita le parole dell’attuale primo ministro, Morgan Tsvangirai, oppositore di Mugabe e condannato per questo a morte dopo essere stato accusato di ingiusti crimini. Lo Zimbabwe da 32 anni non fa eseguire condanne capitali. Il primo ministro ripete spesso: «Se continuiamo a praticare la logica dell’occhio per occhio, il nostro Passe diventerà un Paese di ciechi». Il boia ha sempre meno spazio. Meno della metà dei Paesi che conservano la pena di morte hanno eseguito condanne. L’hanno abolita del tutto, di recente, l’Uzbekistan e l’Argentina (2008), il Burundi e il Togo (2009). È un buon segno, poi, la recente risoluzione dell’Onu (19 novembre scorso) che chiede una moratoria universale della pena capitale. L’hanno votata 119 Paesi, contrari 39, mentre gli altri si sono astenuti o erano assenti. Nel 2012 lo Stato del Connecticut ha abolita la pena di morte e altre undici nazioni, pur emettendo sentenze capitali, non le hanno eseguite. Calo anche delle vittime: nel 2011 le esecuzioni sono state circa 5.000 contro le 5.946 dell’anno precedente. Questo perché le esecuzioni stimate in Cina sono passate da 5.000 nel 2010 alle 4.000 presunte del 2011. In controtendenza soltanto quattro Paesi che hanno ripreso le esecuzioni: l’Afghanistan, gli Emirati Arabi, il Botswana e il Giappone. Il Congresso romano dei ministri della Giustizia va nella direzione di spingere sempre più Paesi a rifiutare la pena capitale. «Al fondo della nostra battaglia – dice Mario Marazziti che nella Comunità è l’alfiere di questo impegno – c’è la consapevolezza che non si può mai essere come chi uccide, qualunque siano le circostanze. Nessun essere umano smette mai di essere umano, anche il più violento, anche chi sembra un animale. E non si restituisce mai la vita a una vittima togliendone un’altra. Non si toglie mai il dolore profondo alle famiglie eliminando un’altra vita umana e creando nuove vittime».
A portare il saluto del governo italiano ai ministri, il Guardasigilli, Paola Severino, che ha assicurato l’impegno dell’Italia. «Giustizia e vita – dice Severino – sono parole fondamentali della tradizione filosofica. Declinarle è un esercizio complesso e ancor più complesso è collocarle una accanto all’altro, stabilirne i confini, i rapporti reciproci. Queste due parole – aggiunge – stanno o cadono insieme, non c’è una senza l’altra, se togli una, cade l’altra, se togli la vita, cade la giustizia, è un punto saldo, fermo, per la riflessione, ma anche un programma d’azione e un impegno politico». Dal ministro l’opposizione ferma a questa pratica. «A coloro che sostengono la pena di morte come mezzo per prevenire i delitti più efferati, continueremo a rispondere che la crudeltà della sanzione non assicura affatto contro il crimine. La crudeltà assicura soltanto se stessa, assicura che il mondo è crudele e questo mi pare assai poco utile come argomento contro il crimine». A Marco Impagliazzo, presidente della Comunità, il compito di concludere una giornata di dibattiti e testimonianze. «La pena di morte – dice – è il luogo dove si esprimono tutti i veleni dell’ingiustizia. La pena di morte non rispetta la vita, segna l’ineguaglianza tra persone ricche e povere. Dobbiamo lavorare tutti perché nella giustizia vinca la vita e non la morte». L’impegno contro la pena capitale sarà ribadito domani, con la Giornata internazionale «Cities for life». Vi aderiscono 1.350 città, tra le quali 67 capitali. Illumineranno il loro monumento principale. Per un no simbolico, la città di Roma accenderà il Colosseo.
Vi riporto l'articolo pubblicato su Avvenire del 28 novembre, a firma di Giovanni Ruggiero.
Basterebbero storie come quella di Marat Rakhmanov per opporsi alla pena di morte. A 28 anni, questo giovane russo finì nel braccio della morte accusato di un duplice omicidio che non aveva commesso. Un abile avvocato lo strappò dalle mani del boia. Adesso porta la sua testimonianza al VII Congresso internazionale dei ministri della Giustizia, «Per un mondo senza pena di morte», voluto dalla Comunità di Sant’Egidio che da anni si batte per l’abolizione nel mondo della pena capitale. A Roma sono presenti i ministri di venti Paesi. Alcuni di questi prevedono la pena di morte ma hanno applicato una moratoria, come lo Zimbabwe, abolizionista de facto. Significativa la testimonianza del ministro di questo Stato, Theresa Makone, che cita le parole dell’attuale primo ministro, Morgan Tsvangirai, oppositore di Mugabe e condannato per questo a morte dopo essere stato accusato di ingiusti crimini. Lo Zimbabwe da 32 anni non fa eseguire condanne capitali. Il primo ministro ripete spesso: «Se continuiamo a praticare la logica dell’occhio per occhio, il nostro Passe diventerà un Paese di ciechi». Il boia ha sempre meno spazio. Meno della metà dei Paesi che conservano la pena di morte hanno eseguito condanne. L’hanno abolita del tutto, di recente, l’Uzbekistan e l’Argentina (2008), il Burundi e il Togo (2009). È un buon segno, poi, la recente risoluzione dell’Onu (19 novembre scorso) che chiede una moratoria universale della pena capitale. L’hanno votata 119 Paesi, contrari 39, mentre gli altri si sono astenuti o erano assenti. Nel 2012 lo Stato del Connecticut ha abolita la pena di morte e altre undici nazioni, pur emettendo sentenze capitali, non le hanno eseguite. Calo anche delle vittime: nel 2011 le esecuzioni sono state circa 5.000 contro le 5.946 dell’anno precedente. Questo perché le esecuzioni stimate in Cina sono passate da 5.000 nel 2010 alle 4.000 presunte del 2011. In controtendenza soltanto quattro Paesi che hanno ripreso le esecuzioni: l’Afghanistan, gli Emirati Arabi, il Botswana e il Giappone. Il Congresso romano dei ministri della Giustizia va nella direzione di spingere sempre più Paesi a rifiutare la pena capitale. «Al fondo della nostra battaglia – dice Mario Marazziti che nella Comunità è l’alfiere di questo impegno – c’è la consapevolezza che non si può mai essere come chi uccide, qualunque siano le circostanze. Nessun essere umano smette mai di essere umano, anche il più violento, anche chi sembra un animale. E non si restituisce mai la vita a una vittima togliendone un’altra. Non si toglie mai il dolore profondo alle famiglie eliminando un’altra vita umana e creando nuove vittime».
A portare il saluto del governo italiano ai ministri, il Guardasigilli, Paola Severino, che ha assicurato l’impegno dell’Italia. «Giustizia e vita – dice Severino – sono parole fondamentali della tradizione filosofica. Declinarle è un esercizio complesso e ancor più complesso è collocarle una accanto all’altro, stabilirne i confini, i rapporti reciproci. Queste due parole – aggiunge – stanno o cadono insieme, non c’è una senza l’altra, se togli una, cade l’altra, se togli la vita, cade la giustizia, è un punto saldo, fermo, per la riflessione, ma anche un programma d’azione e un impegno politico». Dal ministro l’opposizione ferma a questa pratica. «A coloro che sostengono la pena di morte come mezzo per prevenire i delitti più efferati, continueremo a rispondere che la crudeltà della sanzione non assicura affatto contro il crimine. La crudeltà assicura soltanto se stessa, assicura che il mondo è crudele e questo mi pare assai poco utile come argomento contro il crimine». A Marco Impagliazzo, presidente della Comunità, il compito di concludere una giornata di dibattiti e testimonianze. «La pena di morte – dice – è il luogo dove si esprimono tutti i veleni dell’ingiustizia. La pena di morte non rispetta la vita, segna l’ineguaglianza tra persone ricche e povere. Dobbiamo lavorare tutti perché nella giustizia vinca la vita e non la morte». L’impegno contro la pena capitale sarà ribadito domani, con la Giornata internazionale «Cities for life». Vi aderiscono 1.350 città, tra le quali 67 capitali. Illumineranno il loro monumento principale. Per un no simbolico, la città di Roma accenderà il Colosseo.
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