Essere stranieri è un'esperienza che ci tocca tutti
Mi sono imbattuta alcuni giorni fa in un'intervista a Enzo Bianchi che ritengo utile per approfondire il discorso che stiamo facendo (mi rivolgo agli alunni di terza) sull'ospitalità e l'accoglienza.
Nel nostro "viaggio" ci siamo imbattuti nell'esperienza di emigrazione che ha riguardato tanti nostri connazionali e nei testi biblici che ci hanno ricordato il dovere dell'ospitalità e dell'accoglienza. A tutto questo vi aggiungo alcuni passi di questa intervista, pubblicata su una rivista per noi insegnanti di religione, che si chiama "Insegnare religione" della editrice Elledici (numero di Marzo-Aprile 2011).
Mauro Goia e Giovanni Godio chiedono al priore di Bose:
- A proposito di mondi diversi. Lei ha scritto in un suo recente libretto, L'altro siamo noi che "essere straniero" fa parte dell'esperienza umana, di ogni essere umano, al di là e al di sopra delle contingenze politiche e storiche. Perchè?
"E' un'esperienza che ci tocca tutti. Ci sono momenti della vita in cui siamo stranieri a noi stessi, cioè sentiamo il nostro corpo o una parte di noi come qualcosa di estraneo. Non parlo solo delle circostanze della malattia: corpo e mente, a volte, camminano su strani sentieri di "stranierità". Non vorremmo percorrerli, ci troviamo su di essi senza sapere né come né perché. Ma dovrebbero almeno lasciarci inscritta una "memoria di stranierità" capace di aiutarci nel vivere sociale e, in particolare, nel confronto con il fenomeno dell'emigrazione nel nostro tempo".
- Un fenomeno che desta inquietitudini, paure.
"Dobbiamo tenere conto, certamente, del fatto che la "stranierità" desta paura: è la paura di chi incontra lo straniero come è la paura dello straniero. E' una paura che va guardata in faccia, che va assunta ma anche razionalizzata. Una paura che deve spingerci a trovare dei cammini creativi di convivenza. Cercando ciascuno di restare se stesso, di mantenere la propria identità, ma anche ricordando che le identità sono l'esito di attraversamenti creativi di culture diverse, etiche diverse, spiritualità diverse".
Alla domanda rivolta da due giornalisti su come creare integrazione, visto il fallimento dei "modelli" fino ad ora seguiti, Enzo Bianchi risponde:
"...attenzione, una vera integrazione, una vera accoglienza delle altre cultura non può restare semplicemente uno slogan generico, "amare gli stranieri", "accogliere tutti". Questa è ingenuità, un'ingenuità che è anche di molti cristiani. L'immigrazione va governata, l'integrazione deve trovare vie praticabili. E ognuno di noi dovrebbe partire non da un principo astratto, "amo e accolgo gli stranieri", ma dal particolare e dal quotidiano: come mi comporto con l'immigrato della via sotto casa, della porta accanto?".
Quanti spunti in questo stralcio di intervista! Forse i concetti affrontati vi sembrano difficili, ma non vi ci trovate qualcosa della canzone che abbiamo ascoltato a scuola?
Avremo modo di parlarne in classe.
Nel nostro "viaggio" ci siamo imbattuti nell'esperienza di emigrazione che ha riguardato tanti nostri connazionali e nei testi biblici che ci hanno ricordato il dovere dell'ospitalità e dell'accoglienza. A tutto questo vi aggiungo alcuni passi di questa intervista, pubblicata su una rivista per noi insegnanti di religione, che si chiama "Insegnare religione" della editrice Elledici (numero di Marzo-Aprile 2011).
Mauro Goia e Giovanni Godio chiedono al priore di Bose:
- A proposito di mondi diversi. Lei ha scritto in un suo recente libretto, L'altro siamo noi che "essere straniero" fa parte dell'esperienza umana, di ogni essere umano, al di là e al di sopra delle contingenze politiche e storiche. Perchè?
"E' un'esperienza che ci tocca tutti. Ci sono momenti della vita in cui siamo stranieri a noi stessi, cioè sentiamo il nostro corpo o una parte di noi come qualcosa di estraneo. Non parlo solo delle circostanze della malattia: corpo e mente, a volte, camminano su strani sentieri di "stranierità". Non vorremmo percorrerli, ci troviamo su di essi senza sapere né come né perché. Ma dovrebbero almeno lasciarci inscritta una "memoria di stranierità" capace di aiutarci nel vivere sociale e, in particolare, nel confronto con il fenomeno dell'emigrazione nel nostro tempo".
- Un fenomeno che desta inquietitudini, paure.
"Dobbiamo tenere conto, certamente, del fatto che la "stranierità" desta paura: è la paura di chi incontra lo straniero come è la paura dello straniero. E' una paura che va guardata in faccia, che va assunta ma anche razionalizzata. Una paura che deve spingerci a trovare dei cammini creativi di convivenza. Cercando ciascuno di restare se stesso, di mantenere la propria identità, ma anche ricordando che le identità sono l'esito di attraversamenti creativi di culture diverse, etiche diverse, spiritualità diverse".
Alla domanda rivolta da due giornalisti su come creare integrazione, visto il fallimento dei "modelli" fino ad ora seguiti, Enzo Bianchi risponde:
"...attenzione, una vera integrazione, una vera accoglienza delle altre cultura non può restare semplicemente uno slogan generico, "amare gli stranieri", "accogliere tutti". Questa è ingenuità, un'ingenuità che è anche di molti cristiani. L'immigrazione va governata, l'integrazione deve trovare vie praticabili. E ognuno di noi dovrebbe partire non da un principo astratto, "amo e accolgo gli stranieri", ma dal particolare e dal quotidiano: come mi comporto con l'immigrato della via sotto casa, della porta accanto?".
Quanti spunti in questo stralcio di intervista! Forse i concetti affrontati vi sembrano difficili, ma non vi ci trovate qualcosa della canzone che abbiamo ascoltato a scuola?
Avremo modo di parlarne in classe.
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